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Aggiornato: 21 giugno 2025
PASQUELLA. Io voglio andare in casa, ché la padrona me aspetta. GIGLIO. E spera un pochitto! Vos teneis una gran priessa. Que teneis de azer con vostra padrona? PASQUELLA. Oh! che ti credi? Che 'l diavol mi porti, se le fanciulle d'oggi non son prima innamorate che gli abbino asciutti gli occhi e se prima non volesseno il punteruolo che l'aco. GIGLIO. Que quereis dezir? PASQUELLA. Chiachiare?
Marfisa va che il diavol ne la porta; di saper del guascon non vede l'ora: ben cinque porte dietro le son chiuse, né cerca lo'mperché, né chiede scuse. Cosí la quaglia maschio, dal quaglieri e dalla quaglia femmina disposta, seguendo il canto, cieca volentieri entra sotto del bucine a sua posta.
ISABELLA. Mirate se v'è niuno. LELIA. Non ve l'ho detto? Non si vede persona. ISABELLA. Oh! Io vorrei che voi tornasse dopo disinare quando mio padre sará fuora. LELIA. Lo farò; ma, come passa il mio padron di qui, di grazia, fuggite e serrategli la finestra in fronte. ISABELLA. S'io non lo fo, non mi vogliate piú bene. SCATIZZA. Dove diavol gli tien la man, colei? CRIVELLO. Oh povero padrone!
Oggidí non si crede piú niente, pe' scrittor c'han soppresso il mio mestiere. Per ischerzo de' diavol si decide che non vengono al mondo, e poi si ride. Pretendon trarre agli uomin l'ignoranza gli scrittori novelli col lor fondo.
14 La forza di Ruggier non era quale or si ritrovi in cavallier moderno, né in orso né in leon né in animale altro più fiero, o nostrale od esterno. Forse il tremuoto le sarebbe uguale, forse il Gran Diavol: non quel de lo 'nferno, ma quel del mio signor, che va col fuoco ch'a cielo e a terra e a mar si fa dar loco.
Scampanellò da capo, tambussò l'uscio, fece un diavoleto; ma nel suo quartierino non udì segno di vita. Uno strepito d'uscio che si apriva, un passo affrettato, si udì poco stante nelle scale. Era un servitore dei Torre Vivaldi, che a quella tempesta di suoni s'era scosso dalla panca su cui sonnecchiava, e veniva a vedere che diavol fosse che metteva a rumore la casa.
Non dubitare, mamma; rispose il capitano Fiesco. Domattina mi metto a lavoro, e domani sera ne avrai un altro capitolo. Sai che la scrivo tanto volentieri. Ma che c'è? Visite ancora? Non ci sarebbe dunque più pace, a Gioiosa Guardia? Si sentiva infatti uno scalpitìo di cavalli nel cortile, su cui guardavano appunto le alte finestre della caminata. Polidamante fu mandato a vedere che diavol fosse.
E per non indugiarci più oltre, facciamo ritorno alle due donne, rimaste così sbigottite al primo indizio della scalata e dello spandersi dei nemici entro le mura del castello Gavone. Vedremo più tardi Don Giovanni di Trezzo e sapremo che diavol fosse quell'altro tafferuglio che lo faceva accorrere con tanta fretta verso le scale.
Lo duca stette un poco a testa china; poi disse: <<Mal contava la bisogna colui che i peccator di qua uncina>>. E 'l frate: <<Io udi' gia` dire a Bologna del diavol vizi assai, tra quali udi' ch'elli e` bugiardo, e padre di menzogna>>. Appresso il duca a gran passi sen gi`, turbato un poco d'ira nel sembiante; ond'io da li 'ncarcati mi parti' dietro a le poste de le care piante.
FANNIO. Vedi, Ruffo, tu rovineresti me e leveresti a te l'utile che trarrai di questa pratica. RUFFO. Non temer. Di' sú. FANNIO. Sappi che Lidio mio padrone è ermafrodito. RUFFO. E che importa questo merdafiorito? FANNIO. Ermafrodito, dico io. Diavol! tu se' grosso! RUFFO. Be', che vuol dire? FANNIO. Tu nol sai? RUFFO. Per ciò il dimando.
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