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Ben detto, caro Ojetti; se non che è stato sempre così. L'opera d'arte italiana o francese o norvegiana è stata sempre opera del genio umano, e non poteva essere diversamente. Tempo fa il pregiudizio retorico, pedantesco non riconosceva altra arte all'infuori di quella greca e latina. Ma noi ci siamo finalmente liberati dal giogo dei greci e dei romani, abbiamo allargato il nostro orizzonte. Shakespeare non ci apparisce più un barbaro, come al signor di Voltaire; da qualunque parte ci venga, qualunque forma rivesta, qualunque concetto esprima, pur che abbia assunto una forma vivente, l'opera d'arte è accolta, compresa, festeggiata, ammirata. Nazioni che prima non avevano preso parte al banchetto artistico che non hanno tradizioni classiche di nessuna sorta, e non intendono certi nostri pregiudizi sono venute a sedervisi insieme con noi, balde, piene di entusiasmo, giovanilmente sincere, e anche, non le dispiaccia, giovanilmente ingenue; e ci hanno mostrato, col fatto, l'inanit

Qui nessun riflesso di opere d'arte altrui; ma una diretta irradiazione della realt

Ella nominava la prima volta il conte Luigi d'Arda nel parlare di poesia e d'arte; quel nome tornava poi spesso, quasi sempre a proposito di libri e di cose letterarie. Intimo amico del padre, suo compagno di gioventù, il conte era dei pochissimi che frequentavano casa Albizzoni; la giovinetta dava di lui giudizii molto favorevoli. «Come si vogliono bene il babbo ed il conte!

Nella lirica come nel dramma, la forma è l'ultima sua preoccupazione; e dicendo forma non intendo parlare soltanto delle minuterie dello stile, ma dell'intiera concezione, dell'organismo dell'opera d'arte.

L'illustre creatore del verso libero francese, che è anche il più moderno critico d'arte parigino, proclamò infatti in due articoli del Mercure de France che «certamente non si vide mai un movimento novatore altrettanto importante, dopo le prime esposizioni dei Pointillistes

Uno dei guai (che nello stesso tempo è un elevato piacere) a cui difficilmente possono sottrarsi coloro che si occupano d'arte letteraria, è la perdita della ingenuit

Costui era stato garzone di bottega presso uno stipettaio; poi si era accomodato da un fabbro; più tardi aveva mutato d'arte e di principale, ma non imparando altro che a darsi bel tempo e suonare la fisarmonica.

Ma qui si tratta d'arte, non di pensiero filosofico o scientifico. Vorrebbe forse un'arte vuota di contenuto, forma soltanto?

Eh, mio Dio! Voi artisti non sapete fare altro che opere d'arte, cioè opere di creazione e di bellezza! Ma siate politici, sociologi, scienziati, filosofi! E non a modo vostro, pelle pelle, per pretesto di mettere un po' di sale e di pepe nella solita sciapa minestra; ma realmente, profondamente, in modo che quel che ora è la lustra, il pretesto, diventi scopo principale.

E in Francia è considerato come cosa seria perfino da un giornale come il Figaro, che pubblica il Manifesto dei futuristi, redatto da Marinetti, in prima pagina. E quando quella che per ironia e per derisione è stata chiamata dai saputi, dai critici a pagamento, dai giornalisti e dai letterati di princisbecco, la troupe futurista, si è presentata a Napoli, la grande anima nata due volte, risorta alla vita, non appena risorta, parlo di Vincenzo Gemito, scriveva queste parole: «Al caro Marinetti, un saluto e un augurio per la sua nobile missione, di promotore e incoraggiatore del nuovo ideale d'arte in Italia, da un suo amico che ebbe la fortuna di applaudirlo solo fra una turba quando in Napoli lanciò il suo nuovo verbo artistico». Oh, Marinetti, tu puoi consolarti di molti fischi, di molte male parole, di molti aranci sulla scena, se il vecchio glorioso che ha ripreso il grande scalpello, per cui era diventato, e sar