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24 Ad ogni piccol moto ch'egli udiva, sperando che fosse ella, il capo alzava: sentir credeasi, e spesso non sentiva; poi del suo errore accorto sospirava. Talvolta uscia del letto e l'uscio apriva, guatava fuori, e nulla vi trovava: e maledì ben mille volte l'ora che facea al trapassar tanta dimora.

Credeasi allora che i figli maschi di Manfredi fossero morti, perchè Carlo d'Angiò li tenea in carcere, forse con grandissimo segreto, accreditando la voce della morte, per toglier qualunque speranza ai partigiani di casa sveva. I figli di Manfredi eran bambini quando Carlo prese il regno; egli si volle bruttare di quattro assassinî di tal sorta, d'altronde non utili, e ben suppliti da una prigionia segretissima e sepolcrale. Così gli storici contemporanei portano spenta la discendenza maschile di Manfredi, e sol di lui rimasa Costanza, e la seguente sorella Beatrice, che fu liberata nel 1284 per la vittoria dell'armata siciliana nel golfo di Napoli. La diplomatica, la quale sovente corregge le tradizioni istoriche, ci ha mostrato che vivessero a lungo dopo la morte di Manfredi i suoi figliuoli Arrigo, Federigo ed Enzo. Alcuni istorici napoletani trassero dagli archivi di quel reame dei diplomi per gli alimenti che forniansi in carcere a quegli sventurati principi sotto il regno di Carlo II; e il Buscemi nella vita di Procida ne pubblicò uno dato di Melfi il 30 giugno settima Ind. , nel quale, forse per errore di chi l'avea copiato da' registri di Napoli, l'ultimo de' giovanetti è chiamato Anselmo in vece di Enzo. Io mi sono avvenuto rifrustando que' registri in due documenti, che sembranmi più importanti perchè attestano che i detti principi vivessero insino al 1299, e che allora si ordinasse di escirli dalla prigione, e liberi mandarli a Carlo II con un cavaliere. Ciò avvenne al tempo che Giacomo di Aragona aiutava gli Angioini contro il fratello Federigo e i Siciliani, e appunto pochi giorni anzi la sua vittoria del Capo d'Orlando; talchè sarebbe da congetturarsi che il re di Napoli volle far cosa grata a Giacomo, ch'ei cercava in tutti i modi a tenersi amico ed ausiliare. Ma par che quest'atto di generosit

I senatori eransi cionnonpertanto ritirati nelle proprie case senza impedimento; goccia di sangue era stata sparsa. Il popolo non era trascorso a sufficienza; e certi membri dei diversi partiti eransi indettati per provocare, come necessaria, una seria sommossa. Furono udite alcune voci, che proferivano un nome odiato dal popolo, perchè d'uomo riguardato generalmente come il rappresentante del vessatorio sistema delle finanze imperiali; ed era il ministro delle finanze, conte Prina. Nel concetto popolare questo ministro passava per ricco sfondato, e il sacco della sua casa credeasi dover fruttare almen quanto l'escavazione d'una miniera di diamanti. Non eravi forse uomo del popolo, il quale nel pagare le eccessive imposte che l'opprimevano, non ne desse al ministro istesso tutta la colpa. Ei passava per uomo che si studiasse di scoprire ogni giorno un qualche nuovo compenso per aggravar la miseria del popolo; e si supponea che, cessando egli di esistere, sarebbero tosto a terra le imposte. Così ragionava il popolo, e chi fece udire pel primo alla moltitudine accalcata nel palazzo del senato, il nome del Prina, ben sapea d'aprire con ciò un ampio aringo al furore ed all'avidit

Credeasi però che per ottenere un risultato pronto e felice, era preferibile al joduro una buona cannonata.