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e vidi spirti per la fiamma andando; per ch’io guardava a loro e a’ miei passi compartendo la vista a quando a quando. Appresso il fine ch’a quell’ inno fassi, gridavano alto: ‘Virum non cognosco’; indi ricominciavan l’inno bassi. Finitolo, anco gridavano: «Al bosco si tenne Diana, ed Elice caccionne che di Venere avea sentito il tòsco».

CRISAULO. Ben l'avev'io pensato: ché la cognosco per la piú crudele, la piú ingrata e scortese che nascesse mai sotto il cielo. Ahi lasso sfortunato! Questo è 'l buon guidardon di tanta fede? Deh non foss'io mai nato! ARTEMONA. Taci, dico. Ascolta. CRISAULO. , s'io posso: ch'io mi sento mancar l'anima dentro. Ma che fia?

Non di meno il vedermi menar d'oggi in domane e di domane nell'altro mi fa sospettar non so che; ti cognosco io per cosí da poco che, quando vorrai, non facci far tua figliuola a tuo modo. VIRGINIO. Ti dirò. Tu sai che m'accadde l'andare a Bologna per saldar la ragione d'un traffico che aveamo insieme messer Buonaparte Ghisilieri, il cavalier da Casio ed io.

Volendo per questo dire: Io cognosco che io non sono del popol tuo, il quale tu tieni per figliuolo, e perciò non debbo il pane de' tuoi figliuoli avere; ma io sono uno de' cani allevato in casa tua; non mi negare quello che a' cani si concede, cioè delle miche che caggiono dalla mensa tua.

So' certa, Veritá etterna, che tu non dispregiarai el desiderio mio le petizioni che Io t'ho adimandate, però che io cognosco per veduta, secondo che t'è piaciuto di manifestare, e molto maggiormente per pruova, che tu se' acceptatore de' sancti desidèri. Io, indegna tua serva, m'ingegnarò, secondo che mi darai la grazia, d'observare il comandamento e la doctrina tua.

FULVIA. Dunque, piú non mi ama? SAMIA. te ama ti stima. FULVIA. Cosí credi? SAMIA. Ne son certa. FULVIA. Lassa me! che odo io? SAMIA. Tu intendi. FULVIA. E di me non ti domandò? SAMIA. Anzi, disse non saper chi tu fussi. FULVIA. Dunque, m'ha dismenticata? SAMIA. Se non te odia pur, bene ne vai. FULVIA. Ahi cieli avversi! Certo, or cognosco lui spietato e me misera.

Ma ben m'incresce non poter tenerti come vorrei perché, in fin che non passa bene il sospetto, non ci veggio modo d'accettarti in casa. FILOCRATE. Soi contiento con eso. Non quiero otra cosa. Dios os pague el gualardon. DEMOFILO. Sapresti darmi nuova d'un signor Fabio Negri di Valenza? FILOCRATE. En verdad no le cognosco. DEMOFILO. Che si fa in quelle bande? che si dice di nuovo?

LÚCIA. Io sono, in queste cose, nata troppo infelice e disgraziata. E però mi risolvo sempre mai, quanto potrò, fuggirle perché insieme fuggirò quei travagli e quelle pene che fanno altrui morire innanzi al tempo. Io l'ho provato e cognosco oramai quel ch'è 'l cervel d'uno uomo. ARTEMONA. Tu mi strazi.

FRONESIA. Non veggio persona. Io so che s'è attillato! Non par quello che vidi allora. LÚCIA. Aimè, ben mio! Mi fosse concesso almen di venirti abbracciare, ché tanto mi sei stato, a questi giorni, nel cuore! Oh! Guarda, guarda che si volge! Vedi, Fronesia, che, come ci ha viste, si fugge? Non avranno mai fin queste tuoi scortesie? Or per prova cognosco quello che ad altrui mai avrei creduto.

Voglio che ti governi in ogni modo come t'ho detto, ché quel poco amaro in questo ha seco utilitá infinita. Andianne, com'è giorno. CRISAULO. Sia a tuo modo. Cosí farem, ché anch'io cognosco certo che fia 'l mio meglio. Ma non potrò starvi: ché ci morrò in duo . FILENO. ! T'è piú sano che non è 'l cavar sangue agli impestati. Ed è ben peste quella che ti ha preso!