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Aggiornato: 16 luglio 2025
L'epistolario di Cicerone. Chi dorme si svegli; gridò il capitano Fiesco, deponendo i suoi fogli, poichè aveva finito il capitolo. Siamo qui con gli occhi aperti e le orecchie tese; disse frate Alessandro. Continuate, signor conte, se le dame permettono che si abbia una volont
Non lo vedi tu, che fa scrivere due lettere in un giorno, e ad un oscuro uomo come il tuo Damiano, dall'eccelso Gian Aloise Fiesco, potentissimo tra i signori d'Italia, ed amicissimo del re di Francia? Io, come dice frate Alessandro, faccio un ridosso ai Commentarii di Cesare: ma il vecchio di Violata vuol farne un altro alle Epistole di Cicerone, che son più di ottocento.
I forestieri capivano e non capivano. Il Cicerone era come invaso da un santo sdegno. Ma dunque uscì finalmente a dire il padre il signor Aldo crede ancora possibile una Venere, dopo tante che ce ne lasciò l'antichit
Il padrone della casa, John Seymour, non fu però meno orgoglioso di mostrarci le sue camere da cicerone bene istrutto. «Guardate come tutto è perfettamente disposto, ci diceva egli, come seppi trar partito dello spazio.
E di questa disgrazia, scriveva poco dopo, scherzando all'arcivescovo lontano: «Intorno al rispondere, che sarebbe il maggior incomodo, mi rimetto al laconismo della prima lettera di Cicerone: Si vales, bene est, ego valeo, potendosi risparmiare il tua tueor; perchè io in questo mondo non ho nè beni, nè affari, nè pretensioni, onde alcuno potesse assumere per me la cura: nè io medesimo ho niente da sbrigare, o da custodire, giacchè i ladri, com'Ella sa, mi hanno di questa gran cura liberato.»
Il degno uomo aveva risaputa la grande notizia, ed accorreva, per salutare il conte Gino. Le esprimerò l'animo mio con un detto di Cicerone; diss'egli. Tibi gratulor, mihi doleo. E non solamente mi dolgo con me, ma con una gentile signora, che abbiamo avuto occasione di riverire insieme. Povera Ninfa del lago, a cui Ella aveva promesso una ballata!
Se la mia memoria non m'inganna, costui si chiamava Tito Pomponio Attico, ed era amico di Cicerone. E perchè dunque, interrogò Lucrezia, sentiamo dentro noi così veemente lo istinto della vita? Questo, a parere mio, fu provvidenza della natura; imperciocchè diversamente la creatura umana tanto proverebbe bisogno di disfarsi, che il fine della creazione andrebbe fallito.
E la nostra digressione sull'amicizia? Cicerone ne ha scritto un trattato, dove ne disse tutto il dicibile; lo avete letto? No. Neppur io. Lo leggeremo insieme, se vi piace. L'autunno venturo... dacchè partite... Ah! è vero! Fatemi intanto da Cicerone intorno ai vostri ruderi. Subito. Quando entrai nella vita... Vi hanno messo a balia...
NARTICOFORO. Gerasto caro, accioché sappiate chi sia io, io son quello che ho commentato il Bellum grammaticale, la Priapeia di Virgilio; ridotte in compendio le Regole di Mancinello e del Valla; enucleati sensi profundissimi, reconditissimi e abstrusissimi di Prisciano; fatte postille e scòli alle Epistole di Cicerone: talché vòlito per ora virorum e per tutte le scole si parla di me.
Il barone Samuele col suo contegno umile, d'uomo che digerisce male, faceva da cicerone a un grosso signore, un tedesco all'aspetto, che approvava tutto quel che sentiva dire. Le presentazioni furono fatte sul piazzale dell'albergo.
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