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Aggiornato: 12 luglio 2025


Questo passammo come terra dura; per sette porte intrai con questi savi: giugnemmo in prato di fresca verdura. Genti v'eran con occhi tardi e gravi, di grande autorita` ne' lor sembianti: parlavan rado, con voci soavi. Traemmoci cosi` da l'un de' canti, in loco aperto, luminoso e alto, si` che veder si potien tutti quanti.

20 S'al fiero Achille invidia de la chiara meonia tromba il Macedonico ebbe, quanto, invitto Francesco di Pescara, maggior a te, se vivesse or, l'avrebbe! che casta mogliere e a te cara canti l'eterno onor che ti si debbe, e che per lei 'l nome tuo rimbombe, che da bramar non hai più chiare trombe.

Cotesti fogli formano un libro sulla fronte di cui si vederá scritto: La Marfisa bizzarra, poema faceto. È superflua una confessione che i fatti esposti in dodici canti della Marfisa non siano di gran rimarco. Ciò non è mia colpa.

Vedi, tra quelli che ne scrissero con piú o meno competenza e larghezza, DIEZ, Ueber die erste portugiesische Kunst und Hofpoesie, Bonn, 1863, p. 30-34 e 72-95; BARET, Les troubadours ecc., p. 186-228; MONACI, Canti antichi portoghesi tratti dal Cod.

Egli era suo costume, come sei o otto canti fatti n'avea, quegli, prima che alcun gli vedesse, mandare a messer Can della Scala, il quale egli oltre ad ogni altro uomo in reverenza avea; e, poi che da lui eran veduti, ne faceva copia a chi la volea.

Ma s'odono i leuti fiorentini. O musici, toccate li strumenti con più dolcezza, poi che a' lauri in cima è la luna novella. Cantate, o gentildonne, a cui la rima fiorisce in amorosi allettamenti a sommo de la bocca picciolella. Sicchè di su l'altura udendo suoni e canti a la ventura, veggendo faci, dicano le genti: Torna forse Brisenna a' suoi festini?

E la tosse gli troncava in gola l'epica descrizione. L'Accademia aveva discusso se la parola ciuri, fiore, dovesse scriversi all'antica, xiuri con l'x e l'i, o sciuri con l'esse e l'i, o ciuri con la ci e l'i!"¹ ¹ La Sicilia nei canti popolari e nella novellistica contemporanea. Conferenza. Bologna, Zanichelli, 1894.

Quasi falcone ch'esce del cappello, move la testa e con l'ali si plaude, voglia mostrando e faccendosi bello, vid'io farsi quel segno, che di laude de la divina grazia era contesto, con canti quai si sa chi la` su` gaude. Poi comincio`: <<Colui che volse il sesto a lo stremo del mondo, e dentro ad esso distinse tanto occulto e manifesto,

Dicono adunque primieramente mal convenirsi le cose cantate in questo libro col significato del vocabolo; percioché «commedia» vuol tanto dire quanto canto di villa, composto da «comos,», che in latino viene a dire «villa», e «odos», che viene a dire «canto»; e i canti villeschi, come noi sappiamo, sono di basse materie, come di loro quistioni intorno al cultivar della terra, o conservazione di lor bestiame, o di lor bassi e rozzi innamoramenti e costumi rurali: a' quali in alcuno atto non sono conformi le cose narrate in alcuna parte della presente opera; ma sono di persone eccellenti, di singulari e notabili operazioni degli uomini viziosi e virtuosi, degli effetti della penitenza, de' costumi degli angeli e della divina essenza.

Fa meraviglia che un uomo della levatura e della dottrina del TIKNOR (Hist de la littér. esp., traduite de l'anglais par I.-G. Magnabal, Paris, 1864, t. I, p. 117) abbia potuto scrivere a proposito di questa romanza: Rosa était le nom de la dame aimée. Anche gli Ungheresi ed i Turchi dicono rosa l'amata; come basilico è detta per vezzo nei canti popolari slavi e greci moderni; come nei rispetti e negli stornelli toscani, ora il damo è giglio valoroso, ora fior di resta, ora palma d'argento, spiga di grano lavorato, stella brillantina, specchio rilucente, mandorlo fiorito, e cosí via. Rosa, d'uomo giovinetto, nella ballata storica I Reali di Napoli alla rotta di Montecatini; dove dice Maria, madre di re Roberto e di Piero, morto in cotesta battaglia:

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