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Aggiornato: 3 giugno 2025
Uhm! brontolò mastro Bernardo, che in sulle prime aveva fatto bocca da ridere. Brutta gente, quei genovesi! E se questi due fossero della pasta di quell'altro, meglio sarebbe dar loro acquetta, che vino di Calice! Ho dunque a portar loro l'acquetta? chiese il ragazzone, con aria che volea parere melensa. Di che acquetta mi vai tu novellando?
«No.... no.... non c'inganniamo, disse don Marco, entrando appunto mentre donna Placidia diceva queste cose; non ci inganniamo col rifiutare i dolori.... essi vengono un dopo l'altro, e non dobbiamo essere crudeli a noi stessi, cercando di allontanare un calice, che bevuto a poco a poco sar
Fu, come i lettori di leggieri argomentano, una grande rovina per le case del Borgo. Per contro, non n'ebbero molto strazio le vite. Morì una povera vecchia, còlta da uno di que' sassi in sua casa; morirono due altre donne, sorde e mute dalla nascita, le quali stavano lavando i loro pannilini nel torrente di Calice, alle spalle del Borgo, e non poterono udire l'avvertimento della campana posta sulla torre di Bichignollo. Era questa la torre più alta della citt
Ne la queta foresta, entro il pacifico Nido, l’augel s’appressa a la compagna, E s’addorme così... nè spira un alito Per la brulla campagna: Solo a le basse, immensurate nebbie Rabbrividendo il vizzo ultimo fiore, Sovra l’erbe, in un bacio, il roseo calice Piega
No che non basta egli ribattè, cedendo a quella tendenza fatale che hanno gli uomini di tormentar le proprie ferite. E sia che volesse vuotare il calice sino alla feccia, sia che gli balenasse ancora un pallido raggio di speranza, soggiunse insidiosamente: Del resto non sar
Bravo! gridarono le signore. Ci faccia il discorso. Don Pietro! Fiordispina, presso alla quale si era seduto il vecchio ministro dell'altare, gli versò il vino nel bicchiere. Don Pietro alzò il calice, osservò attraverso il cristallo la bella tinta di topazio del suo vino, lo fiutò da conoscitore provetto; poi, levatosi in piedi, parlò in questa forma: Vin santo!
Fu scena patetica, indescrivibile di purissimo amore. O mio adorato Giovanni, o mio sposo, ed è pur vero, o sogno è questo? tu ritorni a me! O amore mio, o mia diletta, Iddio non ha voluto che io bevessi tutto il calice dell'amarezza... sì... noi non ci separeremo più mai. Saremo adunque una volta felici! esclamarono insieme tutti gli altri.
Quei, che l'amaro calice accettando, Com'uomo il rimovea raccapricciando! Con qual desìo la settima festiva Aurora io nel mio carcere attendea! Per sei giorni in mestizia illanguidiva, O la mente pensosa egra fervea, E talor preda sì di larve giva, Che il lume di ragion perder temea: In quell'ore io talvolta Iddio cercava, E, inorridisco in dirlo! io nol trovava.
In mezzo all’atrio interno vi era il grande altare di rame. Il bacino che si trovava al S. O. dell’altare in grazia della sua immensa grandezza, fu chiamato il mare di rame, e riposava sopra dodici buoi egualmente di rame. I fianchi del bacino erano lavorati a forma di calice di fiori di giglio e ai suoi orli correvano due ordini di coloquintida.
Eh via, che ne sapete voi? disse il Picchiasodo, ridendo del paragone. Se il vino non fa posatura, anche la fondata è buona da bere. Vedete questo vino di Calice, come è chiaro e sfavillante, sebbene gi
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