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Così una dama scozzese di buona famiglia, dice questo storiografo, la quale aveva avuto un figlio naturale da Enrico II confessava: «Ho fatto quanto ho potuto per essere ingravidata dal re, e me ne sento onoratissima e felice; e direi quasi che il sangue reale ha un non so che di più soave del liquore comune, tanto me ne sono trovata bene; senza contare i regali che ne ho avuti», e Brantôme aggiunge: «Questa dama, come del resto molte altre, erano in questa opinione che per dormire col re, non si era punto diffamate e che sono disoneste solo quelle che si danno ai piccoli, ma non ai grandi re e gentiluomini».

L’adulterio aveva preso tali vaste proporzioni, che le figlie, vedendo le madri così liberamente divertirsi, facevano quanto era in loro per maritarsi presto ed imitarle. Brantôme dice che nella maggior parte dei matrimonii, fatti a corte, raramente la sposa arrivava al talamo, senza che il re non le avesse prima insegnato praticamente l’arte della procreazione.

Dopo aver descritte tutte le sregolatezze a cui queste signore non disdegnavano di abbandonarsi Brantôme esclama: «E piacesse a Dio di potermi far entrare un po’ in questa allegra corte del re pel mio piacere

Nel secolo XVI l’aristocrazia sotto i Valois si abbandonò a tutti gli stravizii. I racconti di Brantôme su questa spaventevole depravazione sono l

La pittura lubrica cominciò ad andare in voga sotto il regno di Francesco I. Il conte di Chateauvillain aveva fra i rari e bei quadri della sua galleria, una di queste pitture libidinose, di cui scrive Brantôme: «in essa erano rappresentate parecchie belle donne nude al bagno e che si palpavano, si carezzavano, si solleticavano, e ciò che più monta, si divertivano in modo da lasciar vedere le parti più secrete così bene e provocantemente che una fredda reclusa od un eremita si sarebbe riscaldato e commosso

Questa avventura degli sproni accadde in Francia nella strage di San Bartolommeo, e fu trovato di una dama cattolica per salvare il suo amante ugonotto. La riporta BRANTOME.

Dopo simile ingegnosa teoria non ci deve meravigliare se molte signore invidiavano la vita delle cortigiane di professione. Brantôme racconta che una cortigiana venne a Roma per dare lezioni alle dame di corte, ella diceva: «Il nostro mestiere è tanto caldo, quando si è ben appreso, che si ha mille volte più piacere di praticarlo con parecchi che con un solo».

Anche Brantôme fa menzione degli «istrumenti in forma di priapi, che si è voluto chiamare Godemichys parola formata dal latino Gaude mihiAi tempi di Luigi XVI esisteva un vero collegio di tribadi, e si davano il nome di Vestali di Venere. Riunioni particolari si tenevano in appositi locali, le associate erano in gran numero e tutte di alto censo.

Brantôme ha voluto dimostrare che questa impudicizia della corte non aveva nulla di biasimevole.

Si è pure visto come più tardi lo squadrone volante della regina Caterina de’ Medici, non fosse composto da altro se non da damigelle che si abbandonavano a tutti i sollazzi, non escluso quello del tribadismo. Brantôme nelle sue Dame galanti l’illustra a meraviglia.