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Aggiornato: 22 giugno 2025


Il signor Asdrubale finisce appunto di raccogliere il suo denaro, leva la faccia sorridente e porge le carte al giovine, dicendogli con una monotonia d'accento che parrebbe feroce: «La rivincitaQuale fortuna! Quell'ottimo signore si fida; è disposto a giocare a credito, si adatta a riperdere il denaro vinto ed a lasciarsene guadagnare dell'altro!...

Fa caldo Donato suda; l'altro, impassibile, offre la rivincita... guadagna ancora. Fa un caldo orribile. Non rimangono più che centoquarantanove lire nel taccuino dello studente, il resto si è sprofondato nella voragine di pelle di bulgaro del signor Asdrubale. Poco stante la voragine si apre un'ultima volta e le centoquarantanove vanno a raggiungere le compagne.

Il signor Asdrubale, finora impettito ed abbottonato, comincia a muoversi sulla seggiola, a guardarsi intorno, a mostrarsi inquieto; ha l'aria di voler dire qualche cosa e di non sapervisi indurre, finalmente si sbottona, trae dall'ampia tasca, tirandola per un capo, una pezzuola di seta non mai finita e si asciuga il sudore ipotetico della fronte.

Le carte passano da una mano all'altra, una volta, due, tre; ma il fante di picche è sempre fedele al signor Asdrubale. Ah! il brutto pensiero che attraversa la mente di Donato! si prova a respingerlo, scrolla il capo e getta indietro i capelli, ma quel pensiero buio non se ne va. «Badi, dice l'avversario guardandolo fisso, il fante di picche quest'oggi mi vuol bene, scelga un'altra carta.

«È andata a meraviglia, dice il signor Asdrubale sbottonandosi e buttando il cappello sopra una seggiola; il signor Cherubino Dolci è una pasta di zucchero; ha capito ciò che aveva da guadagnare se accettava subito il pagamento e non è stato a lesinare sullo sconto; ecco anche questa obbligazione; non ce n'è altre per caso?

Se avessi perduto io, ti avrei fermato sulle sei mila lire, e ti avrei detto: «Figliuolo mio, hai riguadagnato il tuo denaro; il signor Asdrubale pagher

Intanto il signor Asdrubale ha sbottonato il farsettone, ha cavato di tasca il taccuino, e si è riabbottonato da cima a fondo. Il giovane leva anch'esso il taccuino ed estrae un biglietto di cinquanta lire che porge all'avversario. Ricomincia la partita. Questa volta è il signor Asdrubale che mesce, ma è ancora Donato che perde.

«Sta bene; risponde il signor Asdrubale errando sul significato di quel gesto; un gioco semplice, il gioco delle ultime ore, quando non si ha più tempo da perdere e si vuol tentare la sorte con colpi replicati e frettolosi, il solo gioco a due che non sia lungo, difficile; bravissimo, vedo in lei la stoffa del giocatore; la carta più alta vince.... benissimo; avrei però preferito qualche cosa di meno spiccio e di più interessante; questo suo gioco eroico non d

La visione, che va a poco a poco acquistando caratteri d'evidenza, è interrotta sul meglio da un'esclamazione del signor Asdrubale, il quale si ricorda d'aver viscere di misericordia, come tutti i giocatori fortunati, e compone il volto, i modi e l'accento ad una tenerezza compassionevole.

Ma Donato crede di udire una voce che gli grida di no, e risponde che il fante di picche gli accomoda, e lo cerca baldanzoso fra le proprie carte, sicuro come è di trovarlo. Quella voce ha mentito, Donato perde; il signor Asdrubale apre il taccuino e segna colla matita centocinquana lire a suo credito. Un mutamento avviene nello spirito di Donato.

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