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Aggiornato: 3 maggio 2025
La principessa si avvicinò alla finestra. Scorse un uomo che guardava in alto. Lo vedo sempre costui, disse tra sè, si direbbe che voglia spiarmi!... Intanto l'ingegnere Amoretti si allontanava. È un brav'uomo, rispose Cristina, che ponderava ogni sua frase.
Roberto Jannacone è colui che si fa chiamare l'ingegnere Amoretti?... Ma mi dite il vero? È stato da me.... E che intende di fare?... Non so: egli è cupo, minaccioso: mi ha chiesto notizie della sua figliuola: sembrava incredulo, quando gli dissi ch'era morta.... Ne siete però sicura? Oh, questo è positivo.... E avete trattato anche con lui la vendita dei documenti?
Pover uomo! mormorò Enrica e si calò la veletta sul volto. Intanto pensava sono sbarazzata del mio primo marito! Per tutti, ormai, in fatti, Roberto Jannacone era morto. Viveva un uomo, cui era stata fatta la grazia di parte della sua condanna, e si chiamava l'ingegnere Amoretti. Anche Cristina, pochi giorni dopo, avea saputo la morte di Roberto.
Ma parlava poco, non si perdeva negli amoretti di famiglia che le fanciulle chiamano flirt, odiava i sospiri e le occhiate inconcludenti, trattava tutti con familiarit
E immediatamente un ricordo lo colpì. Questo innamoramento così improvviso e completo, questo vivido abbandono dello spirito, e questo ardore dei sensi, egli l'avea provato un'altra volta. Aveva venti anni allora, e una giovinezza appena sfiorata da certi amoretti fugaci, da certi capricci molto intensi, ma molto brevi. Una bellissima donna gli era apparsa, allora: ma quasi vicina ai quarant'anni, espertissima della vita e delle sue passioni, ella aveva guardato con indulgenza, niente altro, il trasporto amoroso di Paolo Herz. In verit
La proposta è egoistica, non lo nego. Ma io mi moltiplicherò per farvi annoiare come al teatro. Se volete, aprirò il pianoforte, e vi suonerò le più gravi, le più soavi melodie del Lohengrin che dovreste ascoltare al San Carlo. Parlerò con voi di trine, di amoretti, di gite, di nastri come potrebbe farlo la vostra amica Evelina.
Bisogna anche aggiungere, ch'egli aveva abbandonata la Soleil dopo aver vissuto insieme per ben tre anni, e l'aveva piantata senza un motivo, anzi peggio, mettendosi assolutamente dalla parte del torto; bisogna aggiungere che s'incontravano, si rivedevano allora per la prima volta dopo quell'abbandono, e che il legame del marchese di Vharè colla diva non era stato uno dei soliti amoretti del palcoscenico.
La signora Teodora fu lieta dell'arrivo dell'ingegnere Amoretti. Essa poteva dedicarsi tutta alle sue amiche. Vi lasciano sola? domandò l'Amoretti a Diana, e i suoi sguardi di fuoco le ricercavano il profondo dell'animo.
Questa era stata accompagnata sino al palazzo del marchese dall'ingegnere Amoretti, che non era altri se non Roberto Jannacone, da tutti creduto morto, come sa il lettore. L'ingegnere era salito poi sino al primo piano, sostenendo Diana nelle sue braccia. La ragazza dava appena segno di vita: essa era caduta in un abbattimento profondo, cagionatole dallo spavento.
Commossi entrambi, non si potevano staccare l'uno dall'altro. Il soprintendente prese per mano Roberto, come se lo guidasse, e uscirono dalla stanza. Andarono innanzi: di cancello in cancello il soprintendente pronunziava certa parola d'ordine e soggiungeva: l'ingegnere Amoretti!
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