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Vinciliati si strinse nelle spalle. S'ero solo, avrei fatto un sonnellino fino a Genova... Mi fermo ... Ma poichè trovo un collega, preferisco discorrere. I due uomini non appartenevano allo stesso partito; ma pel momento erano legati dall'odio comune contro il Ministero, ch'essi andavano a gara nel qualificare con gli aggettivi più vituperevoli.

Per altro, pensandoci bene, era stato un grande amore, quello della marchesa Polissena! E un grande rammarico era stato il suo, per l'esilio di Gino Malatesti da Modena! Bel modo, poi, di passargli daccanto, senza fermarsi mezz'ora, senza pur chiedere se fosse morto o vivo! Vedete un po' che strano contrasto, e un mese dopo i più terribili ardori, dopo i più solenni giuramenti di un amore eterno! Si sa, di eterno non c'è che la nostra sciocchezza, nel mondo; ma si vorrebbe almeno che certi aggettivi, come sono usati sinceramente, a significare la forza della passione, così non fossero dimenticati troppo presto. Non si salvano dunque neppure le apparenze? Morta la virtù, non c'è neanche più ipocrisia? Ecco qua la bella e ardente Polissena della fuga di Torino, che passava tranquillamente in vettura di posta da Pievepelago, vedendo lassù, dalla parte del Cimone, biancheggiare a mezza costa le case di Querciola, e non aveva nemmeno un pensiero per il povero confinato. Un servitore della signora marchesa poteva avere in tasca una lettera per Gino Malatesti, e ricordarsi di consegnarla a qualcheduno, che gliela facesse ricapitare. Lei, frattanto, passava di l

L'opera d'arte allora, in quei lontanissimi secoli di secoli, era la stessa creazione; e noi possiamo chiamarla tale perchè era forma, forma materiale, incosciente, forma aggregativa, forma combinativa, chimica, vegetale e anche vivente, quantunque chimica, vegetale, e vivente in modo assolutamente diverso da quanto noi indichiamo oggi con questi aggettivi.

La sua apparizione tra i cavalieri di Malta fu salutata da un poderissimo evviva e celebrata con parecchi bicchieri di Gattinara, accompagnati dai più matti brindisi del mondo. La pecorella smarrita ritorna all'ovile. Alla salute dell'estinto! di Lazzaro... semestrale, che esce fuori dal monumento fet.... Ohibò! Questi aggettivi a tavola? Ma se viene dalla tomba!

Ciò che è necessario è il servirsi dell'aggettivo il meno possibile e in un modo assolutamente diverso da quello usato fino ad oggi. Bisogna considerare gli aggettivi come segnali ferroviari o semaforici dello stile, che servono a regolare lo slancio, i rallentamenti e gli arresti della corsa, delle analogie. Si potranno così accumulare anche 20 di questi aggettivi semaforici.

Per descrivere ammodo codesto smisurato edifizio, bisognerebbe aver sotto mano una raccolta di tutti gli aggettivi più sperticati e di tutte le più strampalate similitudini che uscirono dalla penna degli iperboleggiatori di tutti i paesi, ogni volta che ebbero a dipingere qualcosa di prodigiosamente alto, di mostruosamente largo, di spaventosamente profondo, d'incredibilmente grandioso.

L'Albani entrò, col cappello in mano; si avvicinò rapidamente al cavalletto, e dato uno sguardo alla pittura, disse: Bellissimo, perfetto, meraviglioso, sublime. Nel pronunziare questa progressione di aggettivi ammirativi, la sua voce non era salita di un tono. Con maggiore espressione si sarebbe detto: Buon giorno, ti saluto; stai bene?

Da schietto siciliano, pieno di fuoco, parlava delle cose più insignificanti collo stile e coll'accento d'un predicatore ispirato. Profondeva gli aggettivi terribile immenso divino ad ogni proposito. Il suo gesto più riposato era di agitare le mani al di sopra della testa.

Egli conosceva perfettamente tutti i miei vestiti e tutti i miei mantelli, e ne prediligeva alcuni, specialmente, e dava loro degli aggettivi carezzevoli, quasi fossero cosa animata, e quando io mettea uno di questi vestiti, egli trasaliva di gioia, e la parola sua, la sua gran parola, gli usciva dalle labbra: Quanto mi piacete, quanto mi piacete! Volgare e laida parola!

Però, siccome egli tirava innanzi colle chiacchiere, i suoi amici a poco a poco cominciarono a non salutarlo e a non guardarlo più in faccia; le signore gli mandavano a casa, per deriderlo, dei soldatini di piombo e delle spaducce di legno, i monelli scrivevano il suo nome su per i muri, accompagnandolo con degli aggettivi pochissimo lusinghieri; e Domenico Ghegola, per paura di prendersi, una sera o l'altra, anche un paio di scapaccioni, a buon conto preparò le valigie, poi, appena firmata la pace di Villafranca, passò il confine col diretto, chiuso, tutto solo, in un coupé di prima classe, e andò difilato fino a Brescia, dove prese un quartierino in affitto e si fermò in esilio.