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Or gite, donne, e date credito a quelle simulate parole, a quelle lacrime traditrici, a quei finti sospiri e a quelle fallaci promesse; movetivi a pietá di loro, perché tal volta li veggiate piovere dal volto tempesta di amarissime lacrime; credete a quei giuramenti, a quei spergiuri! Come si salverá onor di donna giamai, se li sono tesi tanti laccioli?

El par che voi veggiate, se ben odo, dinanzi quel che 'l tempo seco adduce, e nel presente tenete altro modo>>. <<Noi veggiam, come quei c'ha mala luce, le cose>>, disse, <<che ne son lontano; cotanto ancor ne splende il sommo duce. Quando s'appressano o son, tutto e` vano nostro intelletto; e s'altri non ci apporta, nulla sapem di vostro stato umano.

DON IGNAZIO. Se non lo credo a voi, meno lo crederò agli altri. DON FLAMINIO. E se non lo credete, farò che lo veggiate con gli occhi vostri. DON IGNAZIO. Che cosa? DON FLAMINIO. Poiché volete sposarla dimani, vo' dormir seco la notte che viene: io sarò sposo notturno, voi diurno. State stupefatto? DON IGNAZIO. Se mi fusse caduto un fulmine da presso, non starei cosí attonito.

Qual di pennel fu maestro o di stile che ritraesse l’ombre e ’ tratti ch’ivi mirar farieno uno ingegno sottile? Morti li morti e i vivi parean vivi: non vide mei di me chi vide il vero, quant’ io calcai, fin che chinato givi. Or superbite, e via col viso altero, figliuoli d’Eva, e non chinate il volto che veggiate il vostro mal sentero!

E' par che voi veggiate, se ben odo, D'innanzi quel che il tempo seco adduce E nel presente tenete altro modo. Noi veggiam come quei ch'ha mala luce Le cose, disse, che ne son lontane. Inf., XIII.

Morti li morti e i vivi parean vivi: non vide mei di me chi vide il vero, quant'io calcai, fin che chinato givi. Or superbite, e via col viso altero, figliuoli d'Eva, e non chinate il volto si` che veggiate il vostro mal sentero! Piu` era gia` per noi del monte volto e del cammin del sole assai piu` speso che non stimava l'animo non sciolto,

Morti li morti e i vivi parean vivi: non vide mei di me chi vide il vero, quant'io calcai, fin che chinato givi. Or superbite, e via col viso altero, figliuoli d'Eva, e non chinate il volto si` che veggiate il vostro mal sentero! Piu` era gia` per noi del monte volto e del cammin del sole assai piu` speso che non stimava l'animo non sciolto,

TRASIMACO. E vo' che veggiate che conto tengono di me i principi del mondo: ho pieno il petto, i calzoni e le valiggie di lettere che mi mandano. Ecco quella a punto del Gran Turco: All'illustrissimo e strenuissimo cavaliero, il capitan Trasimaco de Sconquassi, mio carissimo amico e generalissimo delle mie genti.

CONSTANZA. Bastami che m'amiate per l'avvenire, quanto m'amavate prima, o che m'amiate a par di quello, che v'amo io: che mi fará subito dismenticare de' disaggi della passata servitude. PARDO. Moglie, mi sento venire meno per l'allegrezza. CONSTANZA. Ed io non posso tener le lacrime. PARDO. Vo' che abbiate un'altra allegrezza, che veggiate Cleria vostra figlia.

Dall'altra parte par non istia male s'egli fu a' tempi del re Carlo Magno, perché veggiate sin nel funerale s'usava piú che la pietá il guadagno. Il dir ch'è morto Angelino, assai vale; d'aver questo narrato non mi lagno, perché vacante rimase il suo posto, per il qual molte cose verran tosto.