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Mi disse iersera che all'alba me l'arebbe recate, e omai è ora di pranso e non lo veggio comparire; e mi fará partir per Salerno molto tardi. Andrò in sua bottega. Chi vuol, vada. ESSANDRO, Panurgo. ESSANDRO. Sí che, di grazia, narrami l'inganno che hai tu pensato per disturbar questo matrimonio. PANURGO. È tanto a proposito e grazioso che mi muoio delle risa pensandovi.
Non mi resta altro che la disperazione! Tutto ciò perché ama Giacomino; ma se dovessi morir io, vuo' che costui muoia per le mie mani, acciò per la costui morte ella muoia de disperazione. O buono incontro! CAPPIO. O che miglior riscontro, perché sei venuto a tempo! LARDONE. Sarei venuto a tempo, se fossi ricevuto da te a pranso questa mattina.
MASTICA. Disgrazio tal legge e chi la compose! TRASILOGO. Tu sei in còlera meco: non ti partire, ch'adesso ritornerò, che giá non è ora di pranso. MASTICA. In casa tua mai non è ora di pranso mentre ci sono io. Temerario vantatore, capitan di ranocchi, mi fa ascoltare e parlar quattro ore, poi me ne manda assordito e diseccato, senza mangiare e senza bere.
MORFEO. Son omai stracco e non ho trovato ancora chi mi inviti a pranso: non ci è piú caritá né piú cortesia al mondo. Un tempo era invitato da quattro e da sei, chi mi strascinava di qua e chi di lá; e or sto un mese che non sono richiesto. Non mi servono piú i motti arguti, non le buffonarie, non il dir mal d'altri per dar spasso a' convitati.
MANGONE. Dico il vero, a fé di uomo da bene. FILIGENIO. Giuri la fé di un altro, non la tua, ché tu non sei uomo da bene. MANGONE. Quanti giurano a fé di gentiluomo, che non ci sono? Ma se non lo credete, potrete venir infin a casa e vederlo: dopo pranso ne arò la casa piena e potrete eleggerlovi come vi piace. FILIGENIO. Che ho a far io, ché ti ricordassi di me?
GIULIO. Va' in buon'ora carico e c'hai faccende; eccoti spedito. SQUADRA. A dio, trattenitor degli affacendati. GIULIO. Lampridio caro, oggi troveremo Mastica e c'informeremo meglio del negozio: forse non será cosí. LAMPRIDIO. Questo «forse» non mi rileva nulla. GIULIO. Intanto andiamo a pranso. LAMPRIDIO. Andate a pranso voi, ch'io non pranserò né cenerò piú mai.
ESSANDRO. È venuto or ora un correo ad avisar Gerasto che Narticoforo e suo figlio se ne vengono a casa. MORFEO. O ventura maladetta, mira a che ora e a che punto son venuti costoro per disturbare il banchetto! or non poteano venir dopo pranso? ESSANDRO. Orsú, che mi consigliasti a fare? PANURGO. Tu perché avevi cosí gran voglia di farlo?
TRASILOGO.... I miei compagni tutti moriro all'impresa e di loro non rimase niuno vivo. Ma io te ne racconterò delle piú brave.... MASTICA. Bastan queste: non piú, di grazia. TRASILOGO. Ascolta, che poi anderemo a pranso. MASTICA. Vo' piuttosto star senza pranso che ascoltar queste bugie.
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