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, bene, t'ho inteso: tornale indietro e diteli ch'io lo ringrazio. TOFANO.... che lo perdoniate se non l'ha potuto mandare piú presto;... PANURGO. Basta, vatti con Dio. TOFANO.... che vi volevate vestir da dottore,... PANURGO. Vattene, che non servono piú. GERASTO. Lascialo parlare, che te importa? TOFANO.... che volevate ingannar un certo medico. GERASTO. Che medico? che dice di medico?

DIC. Io vi ubbidirò, con questa condizione però che mi perdoniate, e che io sia scusato appresso di voi, se io dirò forse cosa non più udita dagli orecchi vostri: perchè se bene io ho amato assai le lettere greche e latine, nondimeno con non minore studio ho praticato tra teologi, i quali, posposto l'ornamento del parlare, hanno atteso alla cognizione delle cose.

Ve lo dirò, rispose Camilla, ma a condizione soltanto che voi mi perdoniate; altrimenti non lo farò mai. Si comprendeva ch'ella era risolutissima. Ditele di , sussurrò il conte all'ufficiale; tale promessa non impegna. Bene, , mormorò Federico con voce soffocata, parla! Egli è quel giovane frate, il padre Leone, che venne a salutare il conte nel porto di Rimini.

DON IGNAZIO. Non vi ho io dimandato piú volte se in quel giorno della festa vi fusse piaciuta alcuna di quelle gentildonne, e mi dicesti di no? DON FLAMINIO. Era cosí veramente; ma essendomi offerta costei con mio poco discomodo, me ce inchinai. LECCARDO. Signor don Flaminio, Carizia v'aspetta agli usati piaceri, e che le perdoniate se vi ha fatto aspettar un poco.

V'ho offesa non volendo, anzi voi stessa m'avete dato cagione che vi offendesse. In tanta allegrezza è di ragion che mi perdoniate. CINTIA. Dulone mio, io non sol ti perdono, ma ti ho caro piú di prima per duo cagioni: l'una perché sei fidele al tuo padrone, l'altra perché la fortuna s'ha voluto servir di te per istrumento della mia felicitá.