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All’ospizio del Gran San Bernardo si contano in tutto l’anno dieci soli giorni interamente sereni; la media annua della temperatura vi è inferiore a quella del formidabile Capo Nord, vi sono frequenti gli inverni di nove mesi, durante i quali il termometro oltrepassa spesso i 30 gradi R. sotto lo zero. La neve non vi scende a falde fuorchè in estate; l’inverno è un tempestare furibondo di minutissimi cristalli ghiacciati che entrano col vento per ogni dove, si aggirano pulviscolo gelido nelle stanze, e non c’è porta o finestra che li respinga. Tuttavia, benchè quello del Gran San Bernardo sia riputato, e con ragione, il più disagevole e pericoloso fra gli ospizi, credo che ve ne hanno altri di più penoso soggiorno. L

Guglielmo, ricco di un ventimila lire, finito il servizio militare aveva vendute le vacche, congedata la domestica, e si era dato al mestiere di falegname l’inverno, a quello di guida l’estate.

Ora, sono passati tre anni da che lo conobbi, ora Natale seguita a dimorare nel tugurio mezzo rovinato. I parenti, specialmente le donne, gli portano in casa da mangiare e lo riforniscono di vestiario. Egli non lavora più; gli alpinisti non cercano più di lui. L’inverno va da una stalla all’altra e vi si trattiene improvvisando ingegnosi giocattoli per i bambini coi quali è sempre sollazzevole e mansueto. Appena la valle è rinverdita, si mette a tracolla la corda ed il cannocchiale, si arma della picca e via per le montagne. Passa intere giornate sdraiato nell’erba, magari sull’orlo di un precipizio, dura delle ore a contemplare estatico la valle e le ghiacciaie, appunta qua e l

Lena compiva quindici anni, quando la moglie del barone Lanther, che per caso quell’anno passava l’inverno a Gressoney, invitò mezzo il paese alla cena del ceppo, e dopo cena a fare i giovani, due salti al suono dell’organetto. Perchè le famiglie meno agiate non avessero a scomparire, fu inteso che le donne vestirebbero alla foggia del luogo, la veste di panno rosso col giubbino scuro.

Venne l’Inverno e nevicò sul ramo, ma «Che t’importa?...» uno mi disse «Io t’amo: chioma d’argento sar

I ricchi abitavano in case grandi e spaziose ornate d’oro e d’avorio, con sale particolari per festini e con appartamenti distinti per l’estate e per l’inverno.

Breve, il giovane tanto ragionò che vinse. L’inverno anticipò la venuta. La valle era tutta bianca, gli abeti verdi, quasi neri, reggevano pesi enormi di neve. La cascata daccanto la casa era ghiaccio vivo: solo un filo d’acqua scorreva liscio, oleoso sotto la crosta cristallina, lo si vedeva, alla trasparenza del ghiaccio, aprirvi delle larghe bolle d’aria biancastre. Che silenzio intorno!

Così composta, la Compagnia agiva nel casotto: e la gente accorreva numerosa, assai più che ai due maggiori teatri⁸⁷, e si divertiva alle facezie, agli equivoci, ai frizzi che scoppiettavano in bocca a questi pittori del dialetto e, non ostante la parte loro prescritta, improvvisatori di dialoghi vivaci e sfolgoranti. Una recita il giorno non bastava più: e a quella, tanto comoda per coloro che avean finito di lavorare ed avevano libero l’intervallo tra la luce del giorno che declina ed il buio che comincia, se ne faceva seguire un’altra di sera. Venuta l’estate, il favore del non colto pubblico imponeva altro luogo più fresco, alla Marina, presso la Garita. Di questo modo il teatro popolaresco si continuava alternandosi per la estate fuori e per l’inverno dentro citt

Dopo di lui scesero altri, il ghiacciaio fu tentato per ogni senso, ma tutto invano. Quella battuta costò alla famiglia un migliaio di lire, e Natale, tornato a casa, fu quindici giorni in punto di morte, durò malaticcio tutto l’inverno e non si riebbe del tutto che a tarda primavera.

Chi non ha visto la montagna nell’inverno del 1885, non conosce l’inverno alpino. Gli altri anni è un lembo della terra che tutti conosciamo; l’anno passato era un paese inverosimile, fuori della realt