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Dalla parte di mezzodì si affaccia alla costiera di Miravidi, la verdissima valle del Piccolo San Bernardo; la più corta, la più varia, fra quante sono tributarie della Dora Baltea, dominata dalle ghiacciaie del Ruitor le cui acque formano in alto il lago di Santa Margherita e scendono poscia nella fertile conca della Thuille per via di stupende cascate fra i boschi.

Dopo un istante la valanca fu tutta deserta. L’ombra era venuta, tutta la valle era scura, il sole fuggiva dai prati e dalle foreste e metteva sulle ghiacciaie all’intorno dei colori dolcissimi di rosa e dei riflessi di un azzurro intenso. Poi anche le ghiacciaie allividivano, i raggi orlavano le supreme vette e dileguavano, e solo laggiù in fondo sul Monte Bianco duravano le carezze della luce.

Poi quell’uomo vissuto per agire, stava gran tempo lo sigaro in bocca, seduto su di uno sgabello pieghevole a guardare intorno sorgere e spiccare agli albori crescenti i dorsi e incidersi i seni della montagna, e il primo raggio del sole fulminare le pareti cristalline e sfolgoreggiare di poi tutti i vasti piani delle ghiacciaie. Lo Studente fu avvertito che non avesse a parlare di partenza.

Allora cominciò una vita di grandi corse solitarie ed avventurose; la madre avvilita dalla morte del marito non osava contrastarlo; d’altronde le prime gite gli avevano ridato i colori della salute. Così Natale venne a conoscere palmo palmo le montagne vicine e le ghiacciaie dove era sepolto suo padre, temprando a quell’esercizio ed accrescendo la robustezza nativa.

E mi raccontava le traversate notturne, d’inverno, solo per le ghiacciaie mortali, carico come un mulo, le tormente che lo assalivano, lo flagellavano a sangue, e lo tenevano immobile, rannicchiato sotto un antro di rupe, pauroso di soccombere al sonno traditore della montagna, il sonno gelido, invincibile avanguardia della morte.

Natale aveva 12 anni quando un giorno il padre si partì per la Svizzera con un branco di pecore, che menava al mercato di Sion nel Vallese. Per il solito gusto spavaldo di frodare la dogana, egli contava di scostarsi dai sentieri battuti e di passare le ghiacciaie la notte. L’aveva fatto cento volte e sapeva i valichi a memoria.

La mattina alle 3, cioè sul primo albeggiare, quando da quelle alture si vede fuggire verso Francia il cielo nero scintillante di stelle, e salire dai gioghi nostrani il chiaro cielo diurno, egli si levava e usciva a passeggiare fumando in mezzo al silenzio del campo e a trarre l’oroscopo della giornata dall’aria nitida sulle ghiacciaie bianchissime, o dai brandelli delle nuvole lacerate alle vette.

Il Re Vittorio Emanuele piantava le tende per la caccia a pochi passi dalle ghiacciaie del Gran Paradiso. A Valsavaranche ed a Noaschetta l’accampamento sorgeva sovra un altissimo ripiano erboso oltre la regione degli alberi e dei cespugli; a Cogne era in mezzo alla valle in un luogo delizioso chiamato Vallontéj, un prato ingombro qua a l

L’alba li raccoglie e l’aurora li trova al lavoro. E via per dell’ore, muti, instancabili, senza un minuto di posa, perchè il gelo non incolli loro alla pelle la camicia inzuppata di sudore. Intorno, la montagna è deserta. Le mandrie del vicino casolare cercarono i pascoli soleggiati e da quelli mandano ai reclusi lo scampanellare dell’accordo e i muggiti dati al cielo aperto e ai rinascenti tepori. Come tarda il sole! Sulla montagna di rimpetto, le cime le roccie, i nevati, le ghiacciaie, le foreste, ne ridono tutte e si scaldano e fumano di vapori mentre l

Il domani Teresa partì per Zermatt. L’accompagnarono tutte le guide del paese, per far onore a Guglielmo. Presero per la più lunga, valicando la Betta-Forca, poi le Cime Bianche, poi il Colle del San Teodulo. Mai nessun lord d’Inghilterra ebbe, per traversare le ghiacciaie, più numeroso e valoroso corteo. Fu un viaggio di due giorni, e la sera del secondo si giunse a Zermatt. L