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Arrivato all'isola, gettati i remi nel battello, saliti i gradini dello scaglione che mettevano al suo palazzotto, v'entrò. Il servo che stava in un cortiletto a confabulare con alcuni di que' buoni isolani, s'alzò appena che vide il suo padrone, senza dirgli nulla però, credendo non facesse mestieri, e lasciò che salisse nelle stanze superiori.

Fin qua le cose andavano benissimo, e io stesso, non avendo altro da fare, mi occupavo delle faccende del molino. Quando ecco che v'entro un giorno, e chi vi trovo? Il figlio d'un carrettiere, un ubriacone della peggiore specie, alle prese con un giovanotto beccaio. Il carrettiere aveva cacciato il beccaio in una enorme madia, e quasi era per schiacciargli la testa sotto il coverchio. Figurati! E tutto ciò accadeva perchè quei due, tutti e due presi di Rosa, s'erano incontrati nel molino e era venuto loro in mente di saldare i loro conti. E ci volle il bello e il buono per metterli fuori! Vi riuscii soltanto in forza della mia qualit

Mario si scosse, e guardò in aria: da ponente veniva un tempaccio nero, brontolò un tuono. Egli era vicino al chioschetto e v'entrò per ripararvisi. Sulla soglia si voltò, poi si fece alla scala a chiocciola, salì e venne nell'unica stanzetta del piano superiore.

Quindi la contessa Ginevra chiuse i propri saloni di ricevimento per non accogliere più che quei tre amici, e qualche altra signora, come la contessa Maria; più tardi v'entrò anche Giorgi, maestro di cappella nell'antichissima chiesa di Santo Stefano, povero e grande musicista, ammogliato ad una megera, che lo bastonava, senza che egli trovasse mai il coraggio di resisterle. La sua vita rimasta nel mistero, perchè la Confraternita dei Lombardi, che gli passava un magro stipendio di venti scudi al mese, non faceva quasi mai grosse feste, era tutta piena della sua arte: dava qualche lezione nel seminario, e scriveva secretamente magnifici pezzi di musica sacra, chiedendone l'ispirazione a Dio colla commovente semplicit

Giunti in vicinanza di quell'edificio, il Candiano, detto al Fossano che aspettasse, v'entrò senza aspettar altro: dopo qualche tempo il romore dei passi e lo stropiccío di una gonna fecero sperare al giovane che fosse presso la sua Valenzia. Era essa di fatto.

Uno dei tre v'entrò in fatti, per uscirne poi tosto anch'esso esclamando volto ai compagni: È lui davvero. Venite. I tre si strinsero in un gruppo. Lui? , lui; ci cascò adesso. Ma ne sei poi sicuro? Diavolo... come che io son io, e tu sei tu; ci può esser dubbio? Fu dunque un buon pensiero.

Oh se co' l'occhio avessi 'l cor sincero, piú che di for me 'ntenderessi dentro! Però di me non hai giudicio intero. Non pur voi, ma me stesso, e 'n questo centro come 'ntrassi non so. Ben or vi dico: s'uscirne poscio, mai, non mai piú v'entro! Non trovo in lui porta postico per cercar chi' mi faccia, e brancolando in guisa d'orbo, piú miei passi intrico.

Di fatto, quando v'entrò col seguito, essendosi diretto al Palazzo Vaticano, di l

Un momento dopo v'entrò anche il Morone, che, accorgendosi della commozione dipinta sul volto d'ambedue: Che c'è egli di così grave? domandò. Oh Dio!! Dategli la lettera Manfredo. Questi senza parlare, gliela consegnò. Intanto che il Morone leggeva, Manfredo continuava a passeggiare per camera. E così? disse il Morone quand'ebbe finito di leggere.

Arrivò, a, poco, a poco, e assai facilmente, allo spiraglio di luce, che avea scorto le tante volte, dall'orlo. La luce veniva da una buca, che dall'alto parea uno spiraglio ma larga a segno che Roberto capì di potervi passare. In fatti, v'entrò: e vide subito di l