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E fatte queste parole, Aporèma spiccò leggiadramente un salto e andò a sedersi, con le gambe penzoloni in aria, sullo stipo ferrato che era di costa alla parete.

Così pensando, si tolse dal vano della finestra, ov'era rimasto fino a quel punto; corse allo stipo, e aperto un cassettino, ne cavò una boccetta che gittò sdegnosamente a terra. Il cristallo si ruppe, e quelle poche goccie di liquore che v'erano rinchiuse, spruzzarono il pavimento.

Poi risale lesto al suo posto, batte il leggìo per far silenzio, e dice: «Vieuxtemps, Fantaisie». E i fogli di musica, fruscianti, si volgono. Tutta Praga accorse al Rudolfinum, la sera del concerto; si affollò in platea, si stipò nelle gallerie, sedette, bisbigliando e tossendo, nelle poltrone e nei palchi. Poi l'orchestra Boema prese i suoi posti.

Il conte Ugo entrò allora nella camera, e il primo suo atto fu quello di volger gli occhi in giro, quasi cercando le tracce di quel bagliore che avea visto da fuori. Ma nulla era mutato in quel luogo; nulla ei potè scorgervi di nuovo. Il letto, di legno di quercia, era nascosto nell’ombra, in fondo alla camera; un grosso stipo ferrato s’innalzava alla parete di rincontro all’uscio; tutt’intorno si vedevano grandi seggioloni neri, con le spalliere di legno rozzamente intagliate a fogliami, coi sedili e i bracciuoli di velluto, fermato agli orli da borchie di ottone. Le pareti, poi, erano coperte di cordovano; ma qua e l

Odo, adesso, il tic-tac lento d'uno di quelli orologi a stipo che si vedono tuttora nei monasteri e pare che quasi siano per accompagnare col cadenzato lor ritmo le preghiere borbottate, o un canto lieve. A poco a poco, guardando dentro per la inferriata, gli occhi miei s'avvezzano a penetrare quelle ombre che prima m'erano sembrate così tenebrose.

Si rammentava benissimo d'aver lasciato in casa una sera la chiave dello stipo, che portava sempre con : e che avea palpitato per la dimenticanza. In quella sera suo marito dovea essere entrato nella camera; si dovea esser accorto di tutto.

Corse a uno stipo, prese un'altra fialetta, in cui era un liquido più chiaro, e la trangugiò senza riflettere un istante. Andò nella sala ove avea fatto passar l'Amoretti. Egli era un po' all'oscuro. Lo salutò: si sedette; egli la vide, con gli occhi sfavillanti, il volto accesissimo; e sedutasi, avea posto una gamba accavallata su l'altra.

La scena rappresenta un tablino in casa di Marco Porcio Catone. Soffitto di legno a cassettoni, senza ornamenti, o dorature; pareti rozzamente dipinte; pochi e semplici arredi. Un Larario nel fondo, con entro le immagini di Saturno e di Opi. A destra uno stipo di ferro, con suvvi un gruppo di terra cotta, che rappresenta la lupa e i gemelli.

Al piccolo mobilio portato di provincia, Don Diego aggiunse alcune sedie, un vecchio canapè coperto di tela di crine e borrato di pietre, una tavola, un vecchio stipo, una mensola a mezza luna, verniciata nero, a marmo bianco smussato.

Mentre le due signore erano dinanzi allo stipo, estatiche, senza sapere che dirsi, entrò nella camera con gran disinvoltura un'altra signora, magra come la fame, con una testa secca che pareva un teschio, con un corpo smilzo come un bastone, e ravvolta in un abito sfarzoso, coperto di ricche trine.