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«Perchè incitarti contro di me? perchè hanno pervertito il cuore del fedele? commesso la mia rovina al braccio che mi difendeva? mancavano scellerati in questa terra? Questo è caso stupendo, io giungo a penetrarlo. E tu allora che facesti?» «Piansi di rabbia, e mi affrettai a salvare il mio buon Signore.

Come un rettile, a terra la fanciulla strisciando, A lui venne dinanzi; e, gli stinchi abbracciando Del vegliardo, gli disse: "Tu non l'ucciderai, "Non è vero?... Perdonami s'io piansi e mi sdegnai... "Come sei bello!... Parla! Io non credea davvero "Che gli uomini che fanno un simile mestiero "Avessero una faccia così buona, e che pare "Quella dipinta in chiesa sul quadro dell'altare!"

Mi coricai colla testa sconvolta, e piansi tutta la notte. Alle quattro del mattino accesi il lume e mi alzai. Presi la medaglia che stava da tanti anni appesa al mio letto, le diedi un bacio, e mi parve di sentire la benedizione di mia madre. Mi posi in tasca quella santa reliquia con religioso rispetto.

Lo fissa con indicibile espressione d'interesse e di sorpresa, ed esclama: No, non m'inganno, è il mio Flavio ch'io piansi perduto, è lui che ritorna a me, che risponde finalmente alle lunghe chiamate del mio cuore. Oh, sii benedetto tu che mi riedi alla vita! E nell'impeto della passione che in un attimo le si era ridestata ardentissima, si china su quel volto e lo copre di baci e di carezze.

»All'annunzio di quell'immensa sciagura, corsi nella mia camera mi gettai sul letto, piansi disperatamente, e giurai, che tutta la mia vita sarebbe un olocausto d'amore alla memoria di quell'uomo adorato...!

Tentai ancora di parlare, ma, sentendo che gli occhi mi si riempivano di pianto, corsi a rinchiudermi nella mia stanza. Non mi credono buona che a baloccarmi e a far dei regalucci! Piansi forse un'ora come una bimba.

Io mi asteneva perfino dal girare gli occhi per la camera, temendo sempre di vedere la faccia moribonda della mia povera padrona, che mi stava presente: quando d'improvviso intesi una dolce armonia, la quale pareva essere sotto la mia finestra; non ebbi la forza di alzarmi, ma credei fosse la voce della marchesa, e piansi di tenerezza.

OTTAV. ; tu stesso, altra fíata, tu mel dicesti. I piú segreti affetti del travagliato animo tuo, qual padre tenero a figlia, a me svelavi allora. Rimembra, deh! ch'io teco anco ne piansi. Ma, il nieghi? Io giá maggior di me son fatta. Necessitá fa prodi anco i men forti.

M'allontanavo per l'andito con lentezza, quando mi sentii di nuovo toccare. Ed era Federico; e mi abbracciò. Ma io non piansi, non provai una commozione forte, non compresi le parole ch'egli proferiva. Udii però nominare Giuliana. Conducimi da Giuliana gli dissi. Misi il braccio sotto il suo, mi lasciai condurre come un cieco. Quando fummo dinnanzi alla porta, gli dissi: Lasciami.

Figuratevi il mio spavento; gridai, piansi, la zia cercò di tranquillarmi dicendo che il signor De Boni, se ero saggio, mi avrebbe trattato bene, che mi avrebbe portato amore... ma finiva sempre col piangere desolatamente; non credeva nemmanco lei a quelle sue parole. Un giorno fui condotto dal cavallante nel seminario di Novara.