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Aggiornato: 17 maggio 2025


L'albergo del signor Pfaff era situato fra Splügen e Andeer, sulla via per Coira, in posizione così felice che sempre, quando la diligenza vi si fermava dinanzi, erano esclamazioni ammirative fra i viaggiatori.

Piccolo, tozzo, formidabilmente quadrato di spalle, col viso senza neppure i peli delle sopracciglia, con due furbi occhi cilestri, il signor Pfaff non era in nulla mutato dall'ultima volta ch'io l'aveva visto, e dimostrava una diecina d'anni meno de' suoi sessanta.

Egli s'inchinò sùbito, ma compresi che Lidia non gli piaceva. Non era un tipo svizzero; le mancavano le allegre tinte alle guance, il seno turgido, i fianchi rotondi, e una sola mano del signor Pfaff sarebbe bastata a piegar Lidia come un virgulto. L'istinto, che in quei paesi fa valutar la donna secondo la capacit

Intorno, vie numerose conducono ai boschi, ai villaggi, ai monti; una, poco aperta allo sguardo, dietro la casa del signor Pfaff, costeggia il Reno, avvallata fra gli alberi fitti, e conserva l'indole selvaggia delle strade raramente percorse.

Sul cominciar di settembre, donna Teresa ci scrisse, manifestando il desiderio di riveder Lidia e mi parve opportuno cedere alla preghiera nonostante che Silesia Pfaff e suo padre si rammaricassero assai della nostra partenza. Perchè così presto, quest'anno, signor Lacava? osservò Silesia, all'annuncio.

Sulla soglia, la signorina Silesia Pfaff, coi capelli neri accuratamente ravviati e la tipica faccia rubiconda, comparve insieme a Leo, il grosso cane di Terranova al quale ero insoffribilmente antipatico. La signorina mi porse la mano, Leo m'abbajò contro, secondo il solito.

C'è ancora molto? chiese Lidia. Tre chilometri, rispose il signor Pfaff, rigido al suo posto. Sei stanca? domandai io alla donna. Ella negò col capo e mi volse la bocca in modo ch'io fui costretto a ribaciarla. Traversando il primo dei ponti che s'incontrano su quella strada, vedemmo il Reno orribilmente serrato fra due montagne a picco, furioso di spuma.

S'incontravan qualche contadino, qualche addetto alla manutenzione della strada; levavano il cappello, augurando buona sera. Non era il saluto al nostro amore? Buona sera, veramente, quella in cui arrivammo all'albergo del signor Pfaff! Buona sera, che cancellava dallo spirito anni dolorosi d'errori e mi offriva la fede in qualche cosa, nell'avvenire, in me stesso!

Quando fummo nella carrozzella, guidata dal signor Pfaff e seguìta a distanza da un carro coi nostri bauli, io approfittai della solitudine che si ritrovava appena fuori di Splügen, per baciar lungamente la bocca di Lidia. Era una bocca viva di colore e così perfetta di linea, ch'io mi compiaceva a serrarla e a riunirla fra le dita per meglio sentirla sotto le mie labbra.

Quindi, la fanciulla ridivenne fiduciosa. E così l'attimo fuggente si dileguò. Parecchi anni addietro, al buon signor Pfaff, io aveva domandato un giorno: Perchè non mettete un'epigrafe sul vostro ricovero di pace e di salute? Il signor Pfaff m'aveva guardato senza rispondere, ed era stata la figlia a spiegargli il mio concetto.

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