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Aggiornato: 17 giugno 2025


Leo, il cane del signor Pfaff, s'era fatto singolarmente ringhioso e per dimostrarmi che la sua antipatia aveva concluso nel più strano odio, mi guardava con occhi torvi e brontolava se appena osassi avvicinarlo.

In un angolo della piazzetta, ci aspettava la carrozzetta del signor Pfaff, linda e ripulita, colla giumenta saura; e mentre ajutavo Lidia a scendere, il signor Pfaff, uscito dal Bodenhaus Hôtel, mi si fece incontro tenendo il cappello tra le mani.

In quel momento, il signor Pfaff si volse dal suo sedile verso di noi, ma rigirò sùbito la testa, allo spettacolo, e la tenne poi ostinatamente fissa in avanti, per non disturbarci. Ho fatta posticipare la cena! egli disse, senza guardarci. Va bene. Avete molti viaggiatori all'albergo? domandai. Due francesi. Maschio e femmina? Maschi tutt'e due.

Leo s'alzò veemente e visto chiuso l'uscio che dal corritojo metteva alla strada, ringhiò, in atto di difesa; per punir l'animale dell'accoglienza eccessivamente incivile, staccai dalla parete la frusta del signor Pfaff, drizzandone la punta al muso del cane; ma questo senza darmi tempo di colpirlo, spiccò un balzo con un latrato, mi si lanciò contro così veloce, ch'io riuscii a mala pena a schivarne l'urto.

La signorina Silesia Pfaff, dopo aver discusso alcun poco in dialetto grigione col padre, mi s'era rivolta dicendomi in italiano sgangherato che il padre non capiva e che se volevo porre un'epigrafe sul piccolo albergo, la dettassi a lei. Fu così che sul ricovero di pace e di salute lampeggiò in lettere d'oro l'iscrizione: VENITE, DOLENTES.

Parola Del Giorno

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