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Aggiornato: 24 giugno 2025
33 Par che dinanzi a questa bestia orrenda cada ogni muro, ogni ripar che tocca. Non si vede citt
Tu sta' discosto; tu piglia. LIDIO femina. Che «piglia»? Balorda! Son io; non lui. SAMIA. Cosí è. Erravo io. Tu hai ragione; tu il torto. Tu va' in pace; tu togli. LIDIO maschio. Che fai tu, bestia? Par che vogli dargli a lui; e sai che son nostri. LIDIO femina. Che «nostri»? Lassali a me. LIDIO maschio. Anzi, a me. LIDIO femina. Che a te? Lidio son io; non tu. LIDIO maschio. Dágli qua.
«Or quando tu cantasti le crude armi de la doppia trestizia di Giocasta», disse ’l cantor de’ buccolici carmi, «per quello che Clïò teco lì tasta, non par che ti facesse ancor fedele la fede, sanza qual ben far non basta. Se così è, qual sole o quai candele ti stenebraron sì, che tu drizzasti poscia di retro al pescator le vele?».
Dunque? domanda l'amico, non ti scuoti? che impressione ti fa? non ti par bello, grande, sublime? Io son mortificato, non trovo parola. Questa è la famosa basilica? Questa la cupola che si vede di lontano quaranta miglia? Questo il gran colosso di San Pietro? Dunque? Dunque.... senti, amico, vuoi ch'io ti dica la verit
NARTICOFORO. Che sfinge, che arpia, che Medusa con la testa crinita di serpenti! PANURGO. Assai piú difforme è quello che cuopre la gonna, che quello che appar di fuori. NARTICOFORO. Uhá, uhá, che orribil putore che vi ha lasciato: par che sia un putrido cadavere! O che pettuscolo niveo dove sta spaziando Venere con gli Amori!
Terribile all'aspetto, campeggiava in alto l'arcangiolo Michele, che combatteva da par suo con l'antico serpente di sette teste e di dieci corna; un serpente assai brutto, come potete immaginarvi, e diventato anche più brutto per la disgraziatissima circostanza in cui era.
È una contrada poco conosciuta, poco visitata dai forestieri, usi a correre imperterriti l'infilzatura delle impressioni consacrate nelle loro Guide, cosicchè par quasi ne vengano a riscontrar se quel che c'è di bello nella povera Italia sia ancora a luogo.
O cedri incliti, invano, V'intendo, invan voi non mettete eterne Entro al monte di Dio l'alte radici; Però ch'eterna, a par di voi, si asside La speme del trïonfo entro al mio petto. Voi rivedrò! Da queste infauste arene, Che del mio sangue tinse Tito, delizia de l'umane genti, Da ove sorge la notte e il giorno viene, Da tutti e quattro i venti, Quel divino voler, ch'indi mi spinse, Richiamer
Rispuose a la divina cantilena da tutte parti la beata corte, si` ch'ogne vista sen fe' piu` serena. <<O santo padre, che per me comporte l'esser qua giu`, lasciando il dolce loco nel qual tu siedi per etterna sorte, qual e` quell'angel che con tanto gioco guarda ne li occhi la nostra regina, innamorato si` che par di foco?>>.
Anni, fra i salti e gli urli de’ buffoni, Fra i lazzi osceni e i rôchi Accenti de le bacchiche canzoni, Nuda s’offerse ai giochi Perigliosi, a le danze agili, ai voli: È bella, è ancor bambina Quasi, e par che ne l’aria ella s’involi, Soffio e luce divina!... .... O bimba, o vecchia bimba, a cui fu muta L’infanzia di dolcezza; O vecchia bimba al pubblico venduta, Che la feroce ebbrezza
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