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Aggiornato: 12 giugno 2025


«Sotto il buono Augusto», cioè Ottaviano Cesare, il quale, essendo per nazione della gente Ottavia, anticamente cittadina di Velletri, d'Ottavio padre e di Giulia, sirocchia di Giulio Cesare, nacque; il quale poi Giulio Cesare s'adottò in figliuolo e per testamento gli lasciò questo nome di Cesare.

No, non ho paura della signora Ottavia, ma ho paura della mia testa; della mia testa che brucia; e poi, se vuol saperlo, ho paura di lei... Di me?... arrivare fino alla paura, è proprio un po' troppo! Vorrebbe dirmi, almeno, perchè lei si diverte tanto a prendersi gioco di un povero diavolo?... Da mezz'ora sento, e provo ciò che non ho mai sentito, provato in mia vita.

Vi avevano preso parte tutte le maestre, tutte le alunne della Scuola, capitanate dalla signora Sindachessa, e soltanto la bella Ottavia non vi era intervenuta.

Il popol s'ode ciò minacciare; e la minor fia questa di sue minacce: a Ottavia altro marito sceglier pretende, e che con essa ei regni. Sta il trono in lei; tu il vedi. Or, ch'io ti lasci scambiar Poppea pel trono? Ah! Neron, prendi l'ultimo addio... NER. Non piú: troppo m'irrita...

No? non c'entra la signora Ottavia? davvero davvero?... Vediamo, dunque, ecco la destra, bel cavaliere, il giro di polca è concesso; ma non qui... no, no; laggiù sotto la rotonda, in giardino! e la fanciulla si avviò di corsa, e Alessandro dietro, lungo i viali dei carpini, interrotto nel mezzo da un pergolato di glicine, eretto sopra la statua di una Cerere di marmo bianco.

NER. A mie ragion loco... POPPEA Ove son io, colei?... NER. Deh! m'odi... POPPEA Intendo; ben veggo;... io tosto sgombrerò... NER. Deh! m'odi: Ottavia in Roma a danno tuo non torna; a suo danno bensí... POPPEA Vedrai tu tosto, ch'ella vi torna al tuo. Ti dico intanto, che Ottavia e me, vive ad un tempo entrambe, non che una reggia, una cittá non cape.

TIGEL. L'infamia è di chi 'l fece. NER. È ver... TIGEL. Sua taccia abbia ognun dunque: ella di rea; di giusto tu, che senza tuo danno esserlo puoi. NER. Ben parli. In ciò, senza indugiar, ti adopra. SENECA Signor, giá il piè nella regal tua soglia pone Ottavia: se infausta, o lieta nuova io ti rechi, non so. Me non precorre invido niun di tale onore: a tristo augurio il tengo.

SENECA Infin che grida di plebe ascolto, che il furor tuo crudo col tuo timor rattemprano, t'è forza soffrirmi ancora: e l'irritarti intanto giova a me molto; e il farti udir il vero, che al ritornar del tuo coraggio io cada vittima prima: e, se me pria non sveni, Ottavia mai svenar non puoi, tel giuro.

Base al tuo seggio alta e perenne il nostro sepolcro avrai. Perché piú indugi? or questo mio capo prendi; al tuo furore il debbo. SENECA Se perder vuoi seggio ad un tempo e vita, Neron, sicuro è il mezzo; Ottavia uccidi. NER. Vendetta avronne ad ogni costo. OTTAV. Ah! mille morti vogl'io, non ch'una, anzi che danno lieve arrecare al signor mio. TIGEL. Ma il tempo piú stringe ognora.

Oltre il confin del vasto impero tuo che non la mandi? esiglio, ove pur basti, qual piú securo? e qual deserta piaggia remota è , che t'allontani troppo da lei, che darsi il folle vanto ardisce d'averti dato il trono? NER. Or, finché tolto del tutto il poter nuocermi le venga, stanza piú assai per me secura ell'abbia Roma, e la reggia mia. POPPEA Che ascolto? In Roma Ottavia riede!

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