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Aggiornato: 24 giugno 2025
La signora Ninetta era, come il lettore arguto avr
Dominava il concerto la signora Ninetta, che ad ogni colpo gettava un sasso di cinquecento libbre. Il suo primo saluto andò a dirittura a cascare dentro il castello, come impromessa di altri, non meno aggiustati ed efficaci, che dovevano uscire dalla sua bocca d'oro.
Lo credo, io; s'è fatto miracoli; disse il Picchiasodo ridendo. La signora Ninetta è una donnina di garbo, e adesso bisogner
Ma io domanderò a voi che cosa si è sempre fatto delle spie, dei disertori e dei furfanti pari a costui. Per me, ve lo dico schietto; se fossi il mastro de' bombardieri, vorrei risparmiare una palla. E sia; ripigliò il Picchiasodo. a voi dunque, signora Ninetta; preparatevi a ricevere in casa un briccone.
Il Cattabriga, bombardiere a cui Anselmo Campora avea dato cagione di quella disgrazia, era lì per rispondere, chiedendo scusa al suo comandante, allorquando il Maso uscì fuori con una delle sue solite arguzie. Messer Anselmo diss'egli credete a me, non è l'aceto. La signora Ninetta è una bombarda per bene. Ha veduto il brutto coso con cui volevate appaiarla, e al disonore ha preferito la morte.
Nello spazio di otto giorni, la signora Ninetta e le due altre comari che le facevano compagnia, gittarono su quel povero baluardo la bellezza di cento sessantatre nespole. Per una bombarda, a que' tempi, sei o sette colpi al giorno erano un bel trarre, e ne ho detto le ragioni più sopra. Le mura erano così profondamente scombussolate, che non poteano più reggersi; e ad ogni nuovo colpo ne crollavano con alto frastuono larghissime falde. Gi
E cinque o sei di questi saluti erano mandati ogni giorno dal ferreo labbro della signora Ninetta. Triste cosa la guerra! esclamò il forastiero, notando un atto di sgomento che ella non aveva potuto reprimere. Ah sì, messere, triste cosa! rispose la giovinetta sospirando. Il Finaro, pur troppo, non fa lieta accoglienza a' suoi visitatori cortesi. Madonna, e perchè? diss'egli di rimando.
Mosse ancora le labbra, balbettando parole confuse; allungò le braccia quasi volesse trattenersi anche un istante tra i vivi; indi reclinò il capo sul petto e stramazzò, colle membra prosciolte, sul pavimento. Giacomo Pico era morto. Nel quale si narra come la signora Ninetta al disonore preferisse la morte.
No, fio mio bello, no, nun so' scemenze Quer che te dice mamma, sti pensieri Tietteli scritti qui, che so' sentenze; Che ar monno, a sta Fajola d'assassini, Lo vòi sapé' chi so' l'amichi veri? Lo vòi sapé' chi so'? So' li quatrini. Ar mio, sopra la lama ch'è rintorta C'è stampata 'na lettra cór un fiore; Me lo diede Ninetta che m'è morta Quanno che me ce méssi a fa' l'amore.
Basti il dire che in questo parapiglia improvviso, Anselmo Campora fu ferito accanto alla signora Ninetta di cui si fece riparo al corpo, mentre da solo sosteneva l'assalto di cinque nemici. Ne uscì, per altro, ad onor suo, con una di quelle che egli dicea graffiature e che altri avrebbe chiamato sberleffi belli e buoni, quantunque non belli, nè buoni.
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