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Era venuto a far parte del gruppo un giovane di trent'anni, Stefano Forcioli, che gli amici chiamavano Nenni. Di media statura, tutto muscoli, bruno in volto, asciutto, angoloso, dava a capire immediatamente ciò ch'egli era: un domatore di cavalli.

Mandava fiori di tanto in tanto, come s'usa, accompagnava l'una signora o l'altra alla passeggiata, indifferentemente; era impossibile capire s'egli avesse una preferenza. Uhm! disse Ariberto. E tentò scoprire terreno con Gioconda, un giorno in cui Nenni era assente. Credo che quell'analfabeta non vi dispiaccia, cara contessa....

Ah Dio, siamo fritti; mi scambia i lupi con le pecore! borbottò Ariberto, chinandosi un poco verso Vittorina. Sono andato all'appuntamento, spiegò Nenni. Ho sbrigato tutto in venti minuti e con l'automobile sono corso qui. Non una parola di più. Nenni Forcioli sapeva fermarsi a tempo. A qual pro aggiungere una frase galante? I fatti parlavano per lui, e Gioconda era intelligente.

Era un amico, ma un amico ingombrante, che aveva occhio a tutto, che solo aveva letto nel cuor di lei, che sembrava vigilarla da tempo e col suo contegno riservato le esprimeva un muto rimprovero, quasi uno stupore doloroso. Egli aveva còlto più d'una volta, involontariamente, la contessa e Nenni Forcioli mentre parlavano sottovoce. La contessa e Nenni si cercavano.

La contessa mosse incontro a Nenni, con un'espressione di letizia, con un sorriso così limpido, che Ariberto fece girar tra le dita nervosamente il bastoncino d'ebano. Come mai? ella chiese. Io non vi aspettava più.... Se volete, torno via! disse Nenni ridendo. No, no, ve ne prego! esclamò Gioconda con involontario calore. Sedete qui, accanto a me; oggi siete la pecorella smarrita.

Di certo ella non aveva attraversato la serra che allo scopo di veder Nenni e di lasciare ch'egli posasse a lungo sulla sua mano le labbra ardenti. Ariberto fece in tempo a ritrarsi; e imbattutosi con Folco, gli disse bruscamente: Tu sai che la donna vuole un padrone? Folco lo guardò. A che proposito? domandò sorpreso. A proposito di niente. Ma la donna vuole un padrone.

Era un corteggiamento serrato ed efficace, del quale nessuno poteva avvedersi; anzi, osservando che per Gioconda non aveva mai una parola che non fosse comune, una premura che non fosse convenzionale, gli amici giudicavano Nenni un orso. Ariberto Puppi soltanto non si lasciava cogliere a quelle apparenze.

Non era più «guastato», o miracolosamente il gioielliere aveva riparato il guasto in un soffio. Uhm! disse Ariberto a medesimo. E gli parve che Nenni Forcioli fosse di cattivo umore; poi, sul finir del ricevimento, Gioconda gli disse alcune parole sottovoce: spiegava; e Nenni Forcioli si rasserenò. Il padrone.

Un rubino non si guasta: c'è o non c'è. Piuttosto, Nenni Forcioli aveva espresso il desiderio che l'anello col motto non ci fosse più; e Gioconda aveva obbedito. Non ha torto, pensò Ariberto sarcastico. Ormai il motto si può lievemente modificare: «Trois étions....»; L'indomani l'anello ricomparve sul dito di Gioconda.

Ariberto lo conosceva da tempo. Non aveva fama di donnaiuolo. Tuttavia Ariberto avrebbe voluto vederlo meno assiduo al della contessa Filippeschi, mentre Nenni non mancava a un solo.