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Aggiornato: 21 luglio 2025


FILIGENIO. Io non ne ho a comprar la bellezza di lui, il bel ragionare, il cantare e il ballare; ma vo' che sia ben creato, gagliardo e che sappia servire. MANGONE. Eccolo, vedetelo bene, consideratelo; non vi ho chiesto soverchio. FILIGENIO. Non è di cattiva apparenza. MELITEA travestita, MANGONE, FILIGENIO. MELITEA. Caro signore, che mi comandate?

Ma ditemi, s'egli vi volesse rubare a Mangone, fuggireste con lui da sua casa? MELITEA. Da questa vita ancora. PIRINO. Andareste a casa sua con lui? MELITEA. Per acqua, per fuoco e per dove non è via, con lui; ché egli solo è la patria, la casa, lo sposo e mio signore. PIRINO. Or ora? MELITEA. Or ora. PIRINO. Senza temer alcuno accidente?

FORCA. Ed io pregherò Iddio che mai scompagni cosí bella coppia di sposi i quali, per etá, per nobiltá e costumi e bellezza, son degnissimi l'un dell'altro. Intanto, entrate in casa di Alessandro, e il passato pericolo vi renda assai piú cauti e diligenti: ché qui, di fuori, vi potrebbe vedere il dottore o Mangone o il padre istesso, e ad una tempesta se ne aggiongerebbe un'altra.

Tu sei colui che vendi schiavi e schiave, che ti chiami Mangone? MANGONE. Io son: mal per me! ISOCO. Lasciamo il primo e cominciamo un altro ragionamento piú importante.

PANFAGO. Quante cose paiono che non ponno esser, e pur sono? Ma accioché non pensiate che io parli in aria, m'offerisco a farvi veder ogni cosa con gli occhi propri. DOTTORE. Mangone si guarda da Pirino e da Forca, come il diavolo dalla croce; e Melitea sta inferma e carcerata, e son tre giorni che non ha cibo.

ALESSANDRO. Allor ricevo fastidio e noia, quando non mi vien comandato da voi cosa alcuna, ch'è mio debito servirvi; venghiamo al tronco. PIRINO. Non so se sapete la mia disgrazia, che Mangone ruffiano ha venduto al dottore la mia Melitea. ALESSANDRO. Non n'ho inteso cosa alcuna, ché se n'avessi saputo un cenno non averei aspettato che me l'avessi domandato.

Poco anzi, con gli occhi bassi come se volesse nasconder il volto sotto le ciglia; ma ora lo schiavo l'ha fatta alzar la testa e star di buona voglia. MANGONE. Potrete far ben libero conto, d'oggi innanzi, che la casa sia piú vostra che mia o almanco commune.

MANGONE. In somma, guárdati, perché ho molti inimici. FILACE. Morendo smorberá il mondo. MANGONE. Però vive, ché l'inferno l'abborrisce. Ma faccia quanto può, differirla può ben, ma non fuggir la forca che gli sta apparecchiata. MANGONE. O come campeggiarebbe bene una forca in mezo due forche!

Tutta è ricci e belletti e abbigliamenti e attillature, e tutta cerimonie, però cosí amata da quel napolitano che non è altro che fumo, schiuma, neglia e vento: vivono di nebbia e si pascono di fumo, e chi se impaccia con loro si trova con le mani piene d'aria. FILACE. Se venisse Forca o Pirino, che dirogli? MANGONE. Guardatevi da loro come dalle serpi!

Vi dico in somma che è mia figliuola; che mi fu rapita dalla balia, sendo piccina; e or l'abbiamo riconosciuto, come poi piú minutamente restarete sodisfatto. FILIGENIO. Mi rallegro della vostra ventura. Ma che cercate da me? DOTTORE. Se ben non ho riconosciuta mia figlia, so fin ora dove sia, so ben che Forca e vostro figlio l'hanno sbalzata dalla casa di Mangone.

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