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Aggiornato: 16 giugno 2025
Quello adunque che la nostra cittá dovria verso il suo valoroso cittadino magnificamente operare, accioché in tutto non sia detto noi esorbitare dagli antichi, intendo di fare io, non con istatua o con egregia sepoltura, delle quali è oggi dell'una appo noi spenta l'usanza, né all'altra basterieno le mie facultadi, ma con povere lettere a tanta impresa, volendo piú tosto di presunzione che d'ingratitudine potere esser ripreso.
E quanti ve ne sonno ancora di quei ribaldi, che non stanno troppo lontani di qui, che tengono le mogli e la concubina! E quanti di quegli che fanno dormire e' fanciulli in mezzo a lui e alla moglie per saziare la loro corrotta e disonesta vita! E altri ch'in quante cittá sono andati in tante hanno sposata una donna e si pregiano di avere piú mogli a l'usanza turchesca.
Ecco l'arpie che fan l'usanza vecchia: Astolfo il corno subito ritrova. Cli augelli, che non han chiusa l'orecchia, udito il suon, non puon stare alla prova; ma vanno in fuga pieni di paura, né di cibo né d'altro hanno più cura.
e gia` le quattro ancelle eran del giorno rimase a dietro, e la quinta era al temo, drizzando pur in su` l'ardente corno, quando il mio duca: <<Io credo ch'a lo stremo le destre spalle volger ne convegna, girando il monte come far solemo>>. Cosi` l'usanza fu li` nostra insegna, e prendemmo la via con men sospetto per l'assentir di quell'anima degna.
Per la qual cosa lietissimi, quegli riscritti, secondo l'usanza dell'autore prima gli mandarono a messer Cane, e poi alla imperfetta opera ricongiunsono come si convenia. In cotale maniera l'opera, in molti anni compilata, si vide finita.
Per me giudico tale insania appuntare il tale, o tal altro dei moti del 47 e degli anni successivi, che dichiaro alla ricisa non potere capire in cervello umano, bensì la reputo una delle tante stramberie di partito con le quali i moderati, giovandosi della temperie che corre, s'industriano abbindolare il popolo dandogli ad intendere, secondo l'usanza vecchia, lucciole per lanterne.
«Allora saremo rigidi e compassati e corretti!... L'Usanza, come una vecchia signora per bene, ci riprender
TRINCA. Io non vo' amici carissimi, ma di buon prezzo, ché ho pochi dinari. Che sei venuto a far a quest'ora? GULONE. E tu non sai l'usanza mia? TRINCA. Non mi ricordo. GULONE. M'è venuta una disgrazia, la maggior che mi possa venire. TRINCA. Dimmela, se non è cosa di stato. GULONE. Mi muoio della maladetta fame: io son venuto a sguazzare col tuo padrone.
Contenendosi a stento, trasse di tasca il taccuino; ne cavò un biglietto di visita; gli fece, secondo l'usanza, un orecchio nell'angolo, e lo diede, insieme col rotolo di musica al servitore, perchè fosse consegnato alla marchesa Ginevra. È il fato che lo vuole! esclamò, discendendo per la seconda volta le scale, e questa volta da senno.
In casa mi dava soggezione la presenza di don Sebastiano, il vice-curato, il quale, secondo l'usanza, partecipava sempre alla mensa del presbiterio. Egli non mostrava troppa simpatia per don Luigi; e il torto era tutto del suo carattere arcigno, del suo spirito gretto e farisaico. Quel testimonio freddo, impassibile, insensibile pareva fatto apposta per impedire le cordiali confidenze.
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