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Irene, collocatasi dinanzi agli sposi, colle seguenti brevi parole ne sancì l'unione sacra: "Giovani cari e avventurosi, l'atto da voi compiuto in questo giorno vi unisce con vincoli indissolubili del corpo e dell'anima. Voi dividerete per la vita, il bene e la sciagura. Ricordatevi, che nell'amore e nella fiducia reciproca, troverete sempre felicit

Se in alcuno dei nostri lettori si fosse suscitato un pensiero di amore per Enrico VII, che poc'anzi abbiamo veduto sollecitare il padre alla pace, sappia, queste considerazioni essere state fatte per lui. Nessuno sia così stolto da credere che un atto gentile derivi necessariamente da animo gentile. La più parte di noi pratica la virtù, perchè non fa frutto con la colpa, e commette la colpa, perchè non gli giova la virtù: lo spirito per questo si cambia in nulla, ch'egli rimane pur sempre tristo, o maligno, come la natura, o la educazione, ce lo ha dato. Se Enrico VII amò la pace, fu perchè il padre gli aveva promesso farselo compagno del potere, questo sperava conseguire, dove non avesse fine la guerra. Federigo considerando che non avrebbe mai ottenuto con le armi un dominio in Italia, tentò acquistarlo per via di pratiche, e fece tenere proposito a Guglielmo II di Napoli, santissimo Re, detto il Buono, se volesse concedere la sua zia Gostanza, figlia postuma del Re Rogiero, ad Enrico suo figlio. Guglielmo non avendo prole consente al trattato. Nel 1184 è fama che seguissero in Milano questi sponsalisedendo su la cattedra di San Pietro Urbano III. ed è pur fama, che Enrico oltre i diritti sul Regno di Napoli ricevesse in dote centocinquanta somari carichi d'oro, di vasellame di argento, vesti, sciamiti, grisi (forse vaj), ed altre preziose masserizie. Di a qualche anno morto Guglielmo il Buono, sebbene il Regno cadesse a Gostanza, i Siciliani, comportando gravemente la straniera dominazione, chiamarono Re Tancredi, Conte di Lecce, e Principe di Taranto, figlio illegittimo di Rogiero Duca di Puglia. Enrico VII disposto a volere ricuperare i suoi diritti implora il soccorso dei Pisani e dei Genovesi, promettendo loro amplissimi privilegii, si avanza dal lato di Cepperano, ed occupa tutta Terra di Lavoro fino a Napoli, il quale tien fermo per Tancredi. Una terribile epidemia distrugge l'esercito tedesco, che, costretto ad abbandonare il Regno, fugge a Genova. Riccardo Conte di Acerra ricupera Terra di Lavoro. La Imperatrice Gostanza, che posando su la fede dei Salernitani soprastava a Salerno, è dai cittadini consegnata a Tancredi. Questi, come uomo di cuore magnanimo, la rimanda ad Enrico senza riscatto; della quale cortesia come fosse in séguito ricompensato, vedremo tra poco. Rogiero primogenito di Tancredi, sua consolazione e conforto, dopo avere condotto a moglie Irene, figlia d'Isacco Angelo Imperatore di Costantinopoli, moriva. Tancredi soprappreso di acerbissima doglia lo seguitava nel sepolcro, lasciando Sibilia moglie, Guglielmo, Albinia e Mandonia, figli suoi. Enrico VII, saputa la morte del valoroso Principe, cammina celerissimo contro il Regno, e per questa volta gli viene fatto di conquistarlo. La Regina Sibilia ripara co' figli nel castello di Calatabellota, in que' tempi stimato insuperabile. Enrico le fa proporre di uscire, e nella Contea di Lecce, prima signoria del suo marito, restituirla. Accetta la sventurata: di a poco, ecco come Enrico adempiva i patti promessi: Guglielmo fece abbacinare, e privare dei genitali, che presto se ne moriva; Sibilia, Albina e Mandonia, mandò in carcere nei Grigioni. Ora si manifesta il suo feroce talento: fatti prendere tutti coloro che avevano parteggiato per Tancredi, ordinò che sul capo loro si ponessero corone di ferro infuocate, e con chiodi roventi vi si conficcassero. Riccardo Conte di Acerra, caduto in suo potere, fu strascinato a coda di cavallo, poi appiccato pei piedi; mai, finchè visse quel crudele, consentì che si rimovesse dallo infame patibolo. Margarito Grande Ammiraglio ebbe gli occhi divelti, i genitali recisi. I Genovesi e i Pisani non solo delle cose promesse non soddisfece, ma ben anche della buona fede loro schernì. Poi, come se infierire contro i vivi fosse poco, volse il suo furore contro i morti. Fatti disseppellire i cadaveri di Tancredi e di Rogiero, strappò loro con rabbia la corona reale dal capo. Le sue crudelt

L'altra settimana mi son mancate trenta lire. Tre giorni fa mi sono accorta di non aver più quella treccina d'oro che mi aveva regalato la zia Irene. Di Milano l'ho portata di sicuro. Ma da poi che siamo qui non m'era più occorso di metterla. Chiss

Nella Curia romana una sentenza di morte, era stata pronunziata contro il principe T., fratello della nostra Irene, e Cencio con otto sicari della santa sede a' suoi ordini, doveva eseguire l'atroce mandato, profittando della confusione in cui si troverebbe Venezia all'arrivo del solitario.

Il Principe sollevò Irene gentilmente ed ambi rimasero per più minuti abbracciati, spargendo lacrime di commozione. Orazio, commosso lui pure sino al fondo dell'anima, prese la spada del Principe, per la punta e presentandogli l'elsa gli disse: "Un valoroso non deve essere privo dell'arma". Il Principe l'accettò con gratitudine, e strinse affettuosamente la mano abbronzata del duce della foresta.

"Ehi!? che donne da proteggere? esclamò Irene con ironia avete scordato presto, signor Rodomonte che queste stesse donne oggi hanno protetto voi!". E uno scoppio di risa ed un affettuoso bacio sulla mano della sua cara dal coraggioso sovrano della foresta.

La balia levò lentamente la testa canuta, con un fiero rimprovero negli occhi: Dica, signor Leopoldo; la si ricordi che non è di moda in questa casa il fare dei giudizii temerarii. La contessa Irene era una santa donna e il bene che il signor marchese le voleva era come quello che noi altri cristiani vogliamo alla Madonna. Tanto peggio per lui! rispose cinicamente il palafreniere.

Dove sono i miei fiori? LUCIA porge a Nennele il cappello e la spolverina. Mi giravi attorno, povera Lucia. LUCIA vuol baciarle la mano, piangendo. Zitta, zitta. IRENE entra dalla comune. Ah, vi trovo ancora. Mia sorella.

"Li ho baciati cadaveri!" mormorò John alla matrona ed una lagrima rigava la rosea guancia del biondo figlio della Britannia. Egli accennava ad Orazio ed Irene che tanto lo avevano amato ed eran stati i suoi salvatori. L'abbracciarsi delle donne fu scena di pianto che l'una versava sul seno dell'altra senza poter pronunziare una sola parola.

Non mento, Irene, i Rodïan dolori Con altra prova affermeran mio detto; E tu ben lunge da gli umani errori Discerni appien quanto richiudo in petto; dice; e va dove i notturni orrori Suoi Sultana passar sovra aureo letto; Ivi seco disfoga i casi amari Finchè l'ore notturne il sol rischiari.