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Aggiornato: 26 luglio 2025
Nella lingua tua stanno disoneste e vane parole; con la quale lingua tu se' tenuto d'amonire il proximo tuo e d'anunziare la parola mia e dire l'Offizio col cuore e con la lingua tua, e Io non ne sento altro che puzza, giurando e spergiurando come se tu fussi uno baractiere, e spesse volte bastemiandomi.
PANIMBOLO. Con certe animelle di vitellucce ti riporrò l'anima in corpo. LECCARDO. Se fussi morto e sepellito resuscitarei per farmi medicar da voi. Don Flaminio, avessi qualche poco di salame o di cascio parmigiano in saccoccia? DON FLAMINIO. Orbo, questa puzza vorrei portar adosso io? LECCARDO. Ma che muschio, che ambra, che aromati preziosi odorano piú di questi?
Ché quando la perfeczione non è ne l'anima, ogni cosa è imperfecta: e ciò che aduopera e in sé e in altrui. Non sarebbe cosa convenevole che per salvare le creature, che sonno finite e create da me, fussi offeso Io, che so' Bene infinito; piú sarebbe grave solo quella colpa, e grande, che non sarebbe il fructo che farebbe per quella colpa.
CURZIO. Tu sai che avemo inteso che quel pedante poltrone, ogni notte, gli viene a cantare a l'uscio non so che canzoni. Vorrei che tu gli rompessi el capo in qualche bel modo, che non si accorgessi chi fussi stato, se pur ci viene stanotte. RUFINO. State de bona voglia, che vi prometto di servirve. CURZIO. Va'! Pichia, adunque. RUFINO. Io so certo che costoro ci deveno aspettare. Tic.
Ognunu a so', avi a fari! Mi pari difficili ca chissa fussi 'a mia! Sar
TRASIMACO. Se fussi indovino, non sarei venuto a questo termine: almeno fammi una grazia, fammi viver due ore sole. GULONE. Perché due ore? TRASIMACO. Che mi mangi quello apparecchio che avea fatto in casa per te; e, dopo mangiato, fammi morire, ché morrò contento. GULONE. Che apparecchio era il tuo?
Andiamo. LUZIO. E dove è lo legno che tu porti? MINIO. Eccolo, e è piú grosso che non è lo tuo. LUZIO. Non è vero. Attenta un po' come pesa lo mio. MINIO. Gran mercé, ché lo tuo è piú bagnato! Per ciò... LUZIO. E lo mio è piú meglio. Ma dimme un po': chi era quella ch'era alla finestra? MINIO. Era la fantesca. LUZIO. Me credevo che fussi tua madre. MINIO. No. È piú bella madonna mia.
LECCARDO. Credo io ben di no. DON FLAMINIO. Dunque non vòi? LECCARDO. Non voglio e non posso: pigliatevi quale volete di queste due. DON FLAMINIO. Troppo disamorevole risposta. LECCARDO. Troppo sfacciata proposta. DON FLAMINIO. Leccardo, sai che vorrei? LECCARDO. Che fussi appiccato!
Sí che il desiderio vostro è infinito: ché altrementi non varrebbe né avarebbe vita alcuna virtú se fussi solamente servito con cosa finita, perché Io, che so' Dio infinito, voglio essere servito da voi con cosa infinita; e infinito altro non avete se non l'affecto e il desiderio vostro de l'anima.
Lasciatevi un poco passar la collera. FLAMMINIO. Io dico, rendemi Fabio. CLEMENZIA. Vel renderò. FLAMMINIO. Basta. Fallo venir giú. CLEMENZIA. Oh! Non tanta furia, per mia fé! ché, s'io fussi giovane e ch'io vi piacessi, non m'impacciarei mai con voi. E che è di Isabella? FLAMMINIO. Io vorrei che la fosse squartata. CLEMENZIA. Eh! Voi non dite da vero. FLAMMINIO. S'io non dico da vero?
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