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Ma chi tutta diría la pompa e i mostri Di quei vergini climi? Ivi l'irsuto Cacto grandeggia, come cereo immane; Ivi a quella di Pesto emula ignota L'odorato e gentil calice innostra Di Belvèria la rosa; ivi quanti hanno Onoranza e virtù di prezïosi Medici succhi, o nominanza orrenda Di fulminei veleni, indifferente, O sien radici o fiori, Iside spiega. Passa l'Eroe solo e pensoso. Ingombri D'intrecciate vainiglie e di lïane Lunghissime a le chete aure pendenti Sovr'esso al capo suo chiudonsi i rami, E or di cupole in guisa, or di cortine, Or di fioriti padiglioni e d'archi, Lussureggian di aspetti e di colori Al queto occhio di lui. Di strane voci E di strilli e di fischi e di pispigli Suonan l'aure d'intorno; odi a la lunga Romoreggiar di vaste acque, e tra' rami Frusciar d'ale infinito; e, a far più viva Quella solenne immensit

Tal suonava il responso. Impallidîro Donne e poeti, e si guardar negli occhi Irrequieti, silenti. Arse di sdegno L'altera alma d'Egeria; arse pur ella La florivola Bice, a cui la punta De la mal tollerata ira risveglia Le isteriche trambasce e invola i sensi; Arser su tutte inviperite e fiere Antigone e Sofia, coppia gemella D'emancipate amazzoni. Ribolle Ne le lor vene il maschio sangue; in fronte De l'audace Stranier figgon gli sguardi Sinistramente; e certo avrían quel giorno D'un gran fatto illustrato il nome oscuro, Ove Olimpio non era: ei le contenne Subitamente, e con gentile e ardito Piglio di paladino: A me si addice La vendetta, esclamò. Volse lo sguardo, Così dicendo al Pellegrin, che muto Fra cotanto armeggiar d'ire e di accenti Del suo fiero sermon godeasi il frutto. Poi replicò: Lo spirto e la parola De l'Alighier qui non si udì: mentite Voci dal labbro di costui dettava La rea calunnia ed il livor codardo! Balzò a quel dir l'Eroe. Pari a ringhioso Stuol di mastini, che, a un rumor lontano Desti tutti in un punto a la tard'ora, Uggiolando prorompono a la siepe Del custodito pecoril: l'un l'altro S'aízzano co'l grido, e, a lo sbarrato Limitare avventandosi co' morsi, Raspano il suol rabbiosamente; allora Ch'odono del pastor la voce e il passo Si ramansano a un tratto; penzoloni Gittan la coda, spianano le orecchie, E muti, muti acquattansi; in tal guisa Al sorger de l'Eroe tacque l'impronto Bisbigliar degli astanti; e con furtivo Pavido sguardo e con moto conforme I suoi sguardi, i suoi moti ognun seguía. Ei favellò: Qual che tu sii, al certo D'infamia o loda il nome tuo fia degno, Stolte parole or proferisti. Hai vôta Alma e cervel gonfio di fiabe, ed altro Che inutil fiato il labbro tuo non mette. Di mutue lodi, e di vulgari incensi Pago tu vivi, e teco il gregge: ingrato Però il vero a te suona, a te che l'arte E la natura e te stesso mentisci! Non si contenne a tal parlar superbo L'offesa alma d'Olimpio, e: Il nome mio, Gridò, il saprai, ma con la spada in pugno, S'hai fermo il core, e cavalier tu sei! Disse, e come a la cheta ora del vespro, Se a' bruni aranci del giardin, da cui Pendon purpurei ed odorati i pomi, Cantarellando una canzon t'appressi, Odi tosto un frusciar d'ali e un pispiglio Di furbi passerelli a fuggir lesti; Così d'Olimpio al favellar si sveglia Sordo intorno un susurro: e chi gli audaci Sensi condanna; chi l'ardir ne loda; Chi la gagliarda valentía n'esalta; E ognun gode in cor suo, che il novo evento Nova materia a favellar gli appresti. Tu sola dal profondo animo gemi, O dïafana Bice, e a lui d'intorno Trepidante ti serri, e invan ti adopri Dal destinato petto a svolger l'ira. In sua tranquilla maest