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Ell'era così felice, così felice di quel piccolo uomo arso dal sole, delle parole sue tanto calde, tanto franche! E aspettava. Quattro mesi fa Antonietta chiese in grazia alla zia che le facesse pigliare un po' d'aria. L'usignuolo s'annoiava in gabbia. E come la zia non poteva accompagnarla ella uscì sola a passeggiare. Se ne andò in villa. , non si sa come, le si accostò un furiere di linea.

Ell'era una fanciulla di circa diciott'anni; i capelli del color dell'oro e la regolarit

In casa O * Emilia era detestata. Ella era di abitudini, di sentimenti, d'idee, in tutto affatto opposta ad essi ed ogni più piccolo suo moto riesciva loro insopportabile e antipatico. Cercarono di farle del male in ogni modo, e tra le altre cose, insinuarono al marito il sospetto che non aveva mai avuto. Parlavano continuamente dinanzi ad Emilia di tutto ciò che O * avrebbe potuto fare se non ci fosse stata lei, e pareva davvero volessero farle capire ch'ella era un impedimento a tutti i progetti di suo marito, una noia e nulla più. Avevano un'arte d'insinuare chetamente le cose più abbominevoli. Parlavano talvolta dei «tempi infelici» che erano trascorsi, ma le cui conseguenze duravano ancora, come se Emilia fosse stata la causa principale della rovina della casa: volevano dare ad intendere che ai loro occhi ell'era un mostro di leggerezza, di vanit

Rimasti soli per la seconda volta senza muover parola, si guardarono a vicenda; il Fossano alla fine prese una mano alla sua Valenzia, che, vinta dall'aspetto contrito di lui, gliela concesse. Ma strana cosa ell'era che l'uno l'altro volesse affidare alle parole quel che loro era passato e passava tuttavia nel cuore. Vergognava il Fossano di confessare la propria colpa, quantunque vedesse che tutto era noto alla sua donna; e questa per un istinto di femminile dignit

Infatti ell'era attiva, economa, antiveggente. La casa ov'erano allogati i Paglini apparteneva in allora al conte C * che la occupava da solo. Misantropo di natura egli menava una vita ritiratissima, non aveva amici e non sortiva mai.

Le altre gl'infiammavano l'immaginazione, questa il cuore; era invidioso dei giovani che avvicinavano la contessa di Grives o la Champrosé, di chi corteggiava la marchesa era geloso. Inoltre, quella sera ell'era diversa dal solito.

Se il cor mi si turba In me rivolgendo Che i giorni tuoi santi S'estinser, gemendo; Che giovin peristi In lungo patir; Io scerno che il pianto Mi tergi e sorridi! Io scerno che al cielo Ne inviti, ne guidi! Io t'odo che appelli Felice il martìr! Ell'era di quelle Serafiche menti, Vissute nel mondo Sublimi, innocenti, Amando, pregando, Chiamando a virtù.

Nuovi orizzonti. L'avevano battezzata per Valeria, ma, poichè il nome pareva troppo solenne, preferivano, fin che era piccola, di chiamarla Bebè. A sei mesi ell'era piuttosto brutta che bella, piuttosto cattiva che buona, e spiegava istinti voraci ch'esaurivano il petto materno e costringevano a ricorrere all'aiuto del latte di capra, delle pappe e degli zuccherini, di cui la bimba era ghiotta fuor di misura, tanto da strillar di gioia quando glieli davano e da strillar di rabbia quando non volevano ripeterglieli. Del resto, indipendentemente dagli zuccherini, quegli strilli da pavone empivano spesso la casa, e il professore, turandosi gli orecchi, urlava da una camera all'altra alla moglie: Per carit

Diana capì ch'era inutile trattenerlo, ch'era inutile prolungare il colloquio. Ell'era forzata a riconoscere che in molte cose Alberto aveva ragione, che Bardelli si rovinava da e che gli uffici ch'egli sollecitava in suo favore non erano facili a compiersi; tuttavia ella sentiva come la vantata equanimit

«O signor mio, ell'era spaventosa, gli ha tagliato più che mezza la gola; le ultime sue parole sono state ch'io vi chiedessi perdono per lui...» «Dunque egli mi tradiva?» «E' pare» «Buon per lui, che mi ha risparmiato il cordoglio di mandarlo alla forca...»