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Aggiornato: 20 maggio 2025


Poichè avvolse così d'alti dispregi Le parole d'Olimpio e il reo costume, Che risibil comporta il secol nostro, L'auree sale d'Egeria e le tranquille Sedi d'Etruria abbandonò l'Eroe; E a te si volse, o del suo cor supremo Desiro e dei suoi passi ultimo segno, Tiberina citt

In questi versi Giovenale descrive così vivacemente gli ebrei, che ci sembra di aver dinanzi veramente un tipo di vecchia strega. Ai tempi di Domiziano le ebree uscivano spesso, durante la notte dalla valle d'Egeria per introdursi nella casa di qualche voluttuosa dama romana, e ciò si è ripetuto sino ai nostri giorni. Numerose donne del Ghetto vagavano per la citt

Tal suonava il responso. Impallidîro Donne e poeti, e si guardar negli occhi Irrequieti, silenti. Arse di sdegno L'altera alma d'Egeria; arse pur ella La florivola Bice, a cui la punta De la mal tollerata ira risveglia Le isteriche trambasce e invola i sensi; Arser su tutte inviperite e fiere Antigone e Sofia, coppia gemella D'emancipate amazzoni. Ribolle Ne le lor vene il maschio sangue; in fronte De l'audace Stranier figgon gli sguardi Sinistramente; e certo avrían quel giorno D'un gran fatto illustrato il nome oscuro, Ove Olimpio non era: ei le contenne Subitamente, e con gentile e ardito Piglio di paladino: A me si addice La vendetta, esclamò. Volse lo sguardo, Così dicendo al Pellegrin, che muto Fra cotanto armeggiar d'ire e di accenti Del suo fiero sermon godeasi il frutto. Poi replicò: Lo spirto e la parola De l'Alighier qui non si udì: mentite Voci dal labbro di costui dettava La rea calunnia ed il livor codardo! Balzò a quel dir l'Eroe. Pari a ringhioso Stuol di mastini, che, a un rumor lontano Desti tutti in un punto a la tard'ora, Uggiolando prorompono a la siepe Del custodito pecoril: l'un l'altro S'aízzano co'l grido, e, a lo sbarrato Limitare avventandosi co' morsi, Raspano il suol rabbiosamente; allora Ch'odono del pastor la voce e il passo Si ramansano a un tratto; penzoloni Gittan la coda, spianano le orecchie, E muti, muti acquattansi; in tal guisa Al sorger de l'Eroe tacque l'impronto Bisbigliar degli astanti; e con furtivo Pavido sguardo e con moto conforme I suoi sguardi, i suoi moti ognun seguía. Ei favellò: Qual che tu sii, al certo D'infamia o loda il nome tuo fia degno, Stolte parole or proferisti. Hai vôta Alma e cervel gonfio di fiabe, ed altro Che inutil fiato il labbro tuo non mette. Di mutue lodi, e di vulgari incensi Pago tu vivi, e teco il gregge: ingrato Però il vero a te suona, a te che l'arte E la natura e te stesso mentisci! Non si contenne a tal parlar superbo L'offesa alma d'Olimpio, e: Il nome mio, Gridò, il saprai, ma con la spada in pugno, S'hai fermo il core, e cavalier tu sei! Disse, e come a la cheta ora del vespro, Se a' bruni aranci del giardin, da cui Pendon purpurei ed odorati i pomi, Cantarellando una canzon t'appressi, Odi tosto un frusciar d'ali e un pispiglio Di furbi passerelli a fuggir lesti; Così d'Olimpio al favellar si sveglia Sordo intorno un susurro: e chi gli audaci Sensi condanna; chi l'ardir ne loda; Chi la gagliarda valentía n'esalta; E ognun gode in cor suo, che il novo evento Nova materia a favellar gli appresti. Tu sola dal profondo animo gemi, O dïafana Bice, e a lui d'intorno Trepidante ti serri, e invan ti adopri Dal destinato petto a svolger l'ira. In sua tranquilla maest

Parola Del Giorno

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