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In un giorno del dicembre di quell'anno, nell'ora che, sparecchiate le mense, i numerosi commensali della duchessa Elena recavansi nella sala dove servivasi l'Alicante e il Lagrima Christi, il marchese Palavicino che, com'era indispensabile, trovavasi tra quelli, fu chiamato in disparte da un servo, il quale gli disse attenderlo un uomo in una delle anticamere, e avere una lettera da consegnargli.

E se l'Adele, appena trovata la lettera nel libricciuolo, gliela avesse rimandata a casa, magari senza leggerla?... Andrea si sentì salire il fuoco alla testa, ritornò subito a casa, tremando, nel passar dinanzi al finestrino del portiere, che questi uscisse e gli tenesse dietro per consegnargli l'involto: il portiere non si mosse; Andrea respirò.

In quella mattina medesima gli era stata annunciata una visita di un certo tale che aveva a consegnargli alcun che d'importanza; e quel tale era nientemeno che l'Apostolo Malumbra, il quale, viaggiato il più frettolosamente che potè, giunto a Milano, e sentito che la corte erasi recata alla rocca d'Angera, senza por tempo in mezzo, vi si era tosto trasferito.

Dicendo queste ultime parole, il poveraccio protendeva tutte e due le mani fuori del letto come eccitando il dottor Agenore a consegnargli immediatamente quella parte disgraziata. Pochi minuti dopo Leonardo, non sapendo più che dire e sicuro che avrebbe aspettato invano i consigli del suo amico medico, si determinò a levarsi da letto alla muta.

Ma egli non aveva fatto ancora questa risoluzione che si vide circondato da tutta quella folla, e udì uno di essi che gli s'era avvicinato più degli altri, imporgli di consegnargli la sciabola, e di seguirlo all'ufficio del dipartimento. Rosen prese allora una grande determinazione.

Dichiaratoglisi esperto dei luoghi e degli uomini calabresi, e in segrete comunicazioni coi soldati del forte d'Alta Fiumara, ei s'impegnò di consegnargli il forte in una notte, se condottiero di pochi dal cuore saldo. Il patriotismo di lui era provato, il coraggio presunto, non dubitabili i concerti narrati. Tanto bastava al Generale per affidargli l'impresa.

All'indomani, il Marcuccio, figlio dell'oste, mi condusse colla sua vettura verso il confine; ma, a cento passi da S. Benedetto, le guardie napoletane, avvicinatesi agli sportelli, m'intimarono d'arrestarmi. Vorrei parlare al signor Commissario superiore. Debbo consegnargli una lettera del signor marchese Laureati suo ottimo amico e protettore...

Poichè udiva dei passi, il dovere della vita la riprese, e finse d'acconciarsi il veletto; ritornò al divano, studiandosi d'allargar le spalle e d'ergere il busto. Era prudenza, forse, passar la notte a Genova e partire il giorno appresso. Cercò il facchino con lo sguardo, per consegnargli le valigie e farle recare a gualche prossimo albergo.

«Questo potrete sapere da lui: non siete voi un Cavaliere napoletano? non avete lettere da consegnargli?» «Certamente le ho.» «Dunque venite, chè siete desiderato

Se venite per intrattenermi dei vostri delirii, voi avete mal preso il vostro tempo. Io ò fretta. Il mio editore mi intima di consegnargli un certo trattato sui Fiori, cui gli ò venduto. Avete ragione, signore, io sono uno zotico a venire ad appestare l'atmosfera innocente e soave che vi circonda. Il fiore! mille scuse. Io non sospettava d'infettare codesta innocenza del mio alito di omicida.