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Aggiornato: 11 giugno 2025


Da questo passo vinto mi concedo piu` che gia` mai da punto di suo tema soprato fosse comico o tragedo: che', come sole in viso che piu` trema, cosi` lo rimembrar del dolce riso la mente mia da me medesmo scema. Dal primo giorno ch'i' vidi il suo viso in questa vita, infino a questa vista, non m'e` il seguire al mio cantar preciso;

MOPSO. Bella Tirrenia mia, che di bellezza avanzi i più bei fior di primavera, morbida più che tenera vitella, ch'ancor non ha gustato erba fonte; e delicata più ch'i bianchi velli di non tonduto pargoletto agnello; e più schiva d'amor e più fugace ch'innanzi a cacciator timida cerva: odi, bella Tirrenia: a queste ombrette meco t'assidi, e i miei sospiri ascolta.

Gia` eravam da la selva rimossi tanto, ch'i' non avrei visto dov'era, perch'io in dietro rivolto mi fossi, quando incontrammo d'anime una schiera che venian lungo l'argine, e ciascuna ci riguardava come suol da sera guardare uno altro sotto nuova luna; e si` ver' noi aguzzavan le ciglia come 'l vecchio sartor fa ne la cruna.

42 Tosto che furo a terra, udir le nuove, ch'assediata d'Astolfo era Biserta: che seco Brandimarte si ritrove udito avean, ma non per cosa certa. Or Fiordiligi in tal fretta si muove, come lo vede, che ben mostra aperta quella allegrezza ch'i precessi guai le fero la maggior ch'avesse mai.

Qual pare a riguardar la Carisenda sotto 'l chinato, quando un nuvol vada sovr'essa si`, ched ella incontro penda; tal parve Anteo a me che stava a bada di vederlo chinare, e fu tal ora ch'i' avrei voluto ir per altra strada. Ma lievemente al fondo che divora Lucifero con Giuda, ci sposo`; ne' si` chinato, li` fece dimora, e come albero in nave si levo`. Inferno: Canto XXXII

Per che lo spirto tutti storse i piedi; poi, sospirando e con voce di pianto, mi disse: <<Dunque che a me richiedi? Se di saper ch'i' sia ti cal cotanto, che tu abbi pero` la ripa corsa, sappi ch'i' fui vestito del gran manto; e veramente fui figliuol de l'orsa, cupido si` per avanzar li orsatti, che su` l'avere e qui me misi in borsa.

che', per tornare alquanto a mia memoria e per sonare un poco in questi versi, piu` si concepera` di tua vittoria. Io credo, per l'acume ch'io soffersi del vivo raggio, ch'i' sarei smarrito, se li occhi miei da lui fossero aversi. E' mi ricorda ch'io fui piu` ardito per questo a sostener, tanto ch'i' giunsi l'aspetto mio col valore infinito.

Quando diritto al pie` del ponte fue, levo` 'l braccio alto con tutta la testa, per appressarne le parole sue, che fuoro: <<Or vedi la pena molesta tu che, spirando, vai veggendo i morti: vedi s'alcuna e` grande come questa. E perche' tu di me novella porti, sappi ch'i' son Bertram dal Bornio, quelli che diedi al re giovane i ma' conforti.

Lascia parlare a me, ch'i' ho concetto cio` che tu vuoi; ch'ei sarebbero schivi, perch'e' fuor greci, forse del tuo detto>>. Poi che la fiamma fu venuta quivi dove parve al mio duca tempo e loco, in questa forma lui parlare audivi: <<O voi che siete due dentro ad un foco, s'io meritai di voi mentre ch'io vissi, s'io meritai di voi assai o poco

che' la viva giustizia che mi spira, li concedette, in mano a quel ch'i' dico, gloria di far vendetta a la sua ira. Or qui t'ammira in cio` ch'io ti replico: poscia con Tito a far vendetta corse de la vendetta del peccato antico. E quando il dente longobardo morse la Santa Chiesa, sotto le sue ali Carlo Magno, vincendo, la soccorse.

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