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Aggiornato: 30 aprile 2025


Alle due e un quarto chiudevasi lo sportello della prima, e via con Garibaldi, Menotti e Basso. Missori, Nullo, Canzio, Trecchi, Zasio ed io, dietro nell'altre due.

La mattina del ventotto il generale Garibaldi passò in rivista la brigata di Canzio: le truppe erano schierate in battaglia lungo il viale del Parco: il nostro generale più sorridente del solito traversò in carrozza sulla loro fronte; quindi assistè a vederle sfilare.

Oh, la nostra tenuta era magnifica e veramente da parata! Mentre si camminava, s'udì lo scalpitare di vari cavalli al trotto serrato e tutta la colonna si fermò ritraendosi verso la siepe a destra e facendo fronte per vedere i cavalieri e dar loro il passo. Era Garibaldi col suo Stato Maggiore e il suo aiutante Canzio in tuba, come davanti il libraio Grondona in via Carlo Felice a Genova.

Per tal modo gl'intendenti di cose artistiche potevano ammirare le opere del Semino, del Carlone, del Tavarone e d'altri buoni frescanti della scuola genovese, le quadrature dell'Adrovandini, le prospettive degli Haffner, e gli ornati recenti condotti con finissimo gusto e accortamente disposati alle antiche dipinture dal nostro valoroso Michele Canzio.

Garibaldi traversò la via in carrozza con Canzio; i due illustri e prodi soldati, arrivati che furono al punto di cui parlo, furono pur essi commossi: no... non era soddisfazione, come dicevano alcuni, quella che brillava sui loro volto, io credo che fosse disgusto.

Nel nostro squadrone poi era un vero bailamme: cinquantaquattro uomini con diciassette cavalli, di cui undici tanto malati da non potersi muovere dalle scuderie; nessun vestiario; tanto cavalli che vestiarii si aspettavano di momento in momento, i primi da Chambery dove Canzio e Tironi erano andati per levarli a Frapolli, i secondi d'Autun.

E si giunse al punto da sparar cannonate e carabinate contro il generale, impaziente di evadere da quella nuova carcere; ma egli mandava proclami agli Italiani, tempestava e fulminava, finchè un bel giorno, dopo miracolosa evasione procuratagli dal genero Canzio e con denaro di Lemmi, comparve in Firenze e veruno ebbe il coraggio di toccarlo.

Arrivammo difatti in poco più di mezz'ora alle prime linee dei nostri; vedemmo il Generale e Canzio che, ritto in mezzo alla via, osservava tranquillamente col suo canocchiale le mosse del nemico: si distinguevano infatti in lontananza sopra una piccola spianata diversi cavalieri prussiani, (certo uno stato maggiore) e al principiare della foresta ogni tanto abbarbagliava la vista il luccichio di qualche fucile o baionetta: la fanteria prussiana doveva esser ricovrata l

Il battaglione condotto da Canzio a cui dei nostri erano rimasti soltanto mio fratello ed Omero Piccini, fu battezzato col glorioso nome di cacciatori di Marsala, e il comando ne fu dato allo strenuissimo Perla. I Cacciatori di Marsala, i Carabinieri Genovesi e alcuni battaglioni dei mobilizzati dell'Isere formarono la quinta brigata, al cui stato maggiore Canzio chiamò tra gli altri il Canessa.

Quando di repente le camicie rosse, surte ferocissime alla riscossa, costrinsero i nemici a precipitarsi verso i bastioni. Eccoli provvisoriamente fuggiti, disse in dialetto genovese il maggiore Canzio, destando l'ilarit

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