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Ariberti, tutto pieno de' sopraccapi com'era, non ebbe agio di gustare l'arguzia. Ora, ripigliò il nostro eroe, egli sembra che la ragazza ci avesse un cugino, diventato tenero tutto ad un tratto della parentela, il quale ha trovato le lettere mie e gli hanno preso le furie. Un cugino! esclamò il Candioli. Fosse almeno un fratello! E come si chiama questo cugino? Donde viene? Che cosa fa?

E pensava involontariamente al contino Candioli; e gli tornava davanti agli occhi l'immagine di Filippo Bertone, colla sua marchesana di San Ginesio, quella superba Giunone che non si era degnata di volger gli occhi su di lui, Ariberti, se non per mettersi a ridere. Al diavolo le donne, alte e basse, dame e pedine!

Hai ragione; disse l'Ariberti ridendo; ma il conte Candioli scriver

Sposarla! Mais pas le moins du monde, parbleu! Or dunque, venendo alla conclusione, i padrini di questo signor Forniglia mi hanno aspettato iersera sull'uscio di casa mia, dopo il teatro. Ed io ho dovuto prendere appuntamento per quest'oggi, sul mezzodì, al caffè dell'Aquila, dove si sarebbero abboccati coi miei padrini. Se riuscirete a trovarne! disse gravemente il Candioli.

Questo, nella sua foga giovanile, non aveva preveduto l'Ariberti; il quale giurò in cuor suo di non far più capo a così eroici spedienti. Finito il ballo, che gli parve assai lungo, uscì dal teatro, senza volerne saper altro. Voleva in quella vece andare al caffè, e bere del pònce. Nel vestibolo incontrò il conte Candioli, che scendeva allora dalla scala dei palchetti. Arrêtez donc?

Per questa volta, sebbene si trattasse di un uomo, l'Ariberti non uscì fuori dai gangheri. Era apparsa dal fondo e si illuminava beatamente in mezzo a quelle dei due coniugi la faccia gloriosa del contino Candioli; un paio di baffi biondi che andavano a smarrirsi nella cascata di due ventole bionde, uscenti senza soluzione di continuit

Anch'egli aveva capito che non bisognava urtare con quella ignoranza pomposa; e fu egli il primo a rispondere, con una mimica espressiva, al signor conte, che egli aveva ragione, e che quel maledetto regret era proprio intraducibile. Il conte Candioli ricompensò l'Ariberti con un gesto di protezione.

Del resto, siamo giusti; il conte Candioli non aveva quel gran bisogno di me, che tu dici. L'ortografia non è mai stata il suo forte; ma in tutto l'altro non c'era male, ed io non ci avevo alcun merito.

In un altro di questi lucidi intervalli, il conte Candioli, che, per ragione della sua povera prosa, non isdegnava di salir qualche volta le scale d'un quinto piano in via Santa Teresa, aveva perfino tentato di far smettere a Filippo il suo venerando giubbone di color tabacco. Sventuratamente non l'aveva pigliata pel suo verso, e si era impuntato ad offrirgli i suoi spogli. Filippo Bertone non era orgoglioso più del bisogno, ma non vedeva ragione di romper fede al suo povero soprabito, per far sapere alla gente che indossava gli abiti smessi dal conte Candioli. Quanto poi a farsene fare di nuovi, come il suo mecenate gli propose da ultimo, profferendosi a pagarne la spesa, egli non ne vedeva ancora la necessit

Soltanto una cosa dava molestia ai collaboratori della Dora e ne amareggiava un pochino il trionfo. Quel francese del Candioli era maledettamente scorretto, ed essi da molte parti avevano udito farne l'appunto. Per contro, il signorino sosteneva che il giornale era tutto quanto scorretto; faute d'un bravo correttore che rivedesse le bozze di stampa. Ariberti gli teneva bordone; un correttore gli parea proprio necessario, attento, di buona volont