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Voi avete un'altra figliuola chiamata Callidora, non men bella e onorata che Carizia: facciamo che don Flaminio sposi costei, accioché le genti che hanno inteso il caso della sorella non sospettino piú cosa contraria all'onor suo.

Desiava servir e riverir Callidora sotto l'imagine della morta sorella; d'accettarla per moglie indignissimo mi conosco: l'accetto per mia signora col tributo impostomi d'averla a servir sempre, e mentre duri la vita duri l'obligo.

Ce lo promisi, tenendo per fermo che a lei fusse impossibile tanta manifattura: s'affaticò tanto con le sue amiche che accommodò e Callidora. Or io, non potendo resistere a tanti prieghi, chiesi licenza a voi e ve la condussi. Or chi arebbe potuto pensare che indi avea a nascere la sua ventura? EUFRANONE. Chi può penetrar gli occulti segreti di Dio?

DON FLAMINIO. Chi m'ha da tôr Callidora me la torrá per la punta della spada! DON IGNAZIO. Grida come se fusse ingiuriato e non avesse ingiuriato altri. Ma se m'hai vinto con le forfantarie, non mi vincerai con l'armi; e vedremo se saprai cosí menar le mani come ordir tradimenti.

MARTEBELLONIO. Perché m'hai detto «bellissimo»? LECCARDO. Perché fate morir le principalissime gentildonne della cittá, e fra tutte Callidora, la mia padrona, che quando le muovo ragionamenti di voi fa atti da spiritata. MARTEBELLONIO. Vorrei che la finissimo una volta, ché io non facessi penar lei ella me; vorrei che le facessi un'ambasciata da mia parte. LECCARDO. Farò quanto m'imponete.

MARTEBELLONIO. E pur ! è Callidora, figlia d'Eufranone: conoscetela voi? Noi la conosciamo molto bene; ma dove voi conosceste lei o sua sorella Carizia? MARTEBELLONIO. Gran tempo fa che l'una e l'altra è impazzita del fatto mio; ma a me piace Calidora per esser di ciglio piú rigido e piú severo. Mi ha chiesto in grazia che vada a dormir seco per questa notte: or vo ad attenderle la promessa.

E se ben Callidora, la minore, fusse d'incomparabil bellezza, posta incontro al sovran paragon di bellezza, a Carizia, restava un poco piú languida, perché la maggiore avea non so che di reale e di maraviglioso. Parea che la natura avesse fatto l'estremo suo forzo in lei per serbarla per modello de tutte l'altre opere sue, per non errar piú mai.