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L'equipaggio, composto quasi tutto da originarii della Linguadoca, naturalmente parlava francese; di qui grande imbroglio nei nostri, i quali per farsi capire francesizzavano l'italiano, creando una lingua ibrida, bastarda, che ci faceva crepar dalle risa: lingua che si perfezionò in Francia e che ha fatto dire, bene a ragione, ultimamente al Bizzoni, che, se fosse continuata la campagna il mondo avrebbe annoverato un idioma di più; quello dei volontarii.

In teatro ho veduto degli orrori. Qualche volta il pubblico, anche quello dei teatri meglio frequentati, diventa canaglia. Tengo nota di molti scandali avvenuti sotto i miei occhi a Milano ed altrove. Mi limiterò a citarne uno solo, che dopo quello delle fischiate e delle invettive toccate a quell'insigne letterato italiano che portava il nome di Ugo Foscolo, vuol essere annoverato fra i più mostruosi. Era promessa al vecchio teatro Re la rappresentazione di un nuovo dramma intitolato: L'indomani dell'ebbro, e n'era autore quel bravo e modesto Giacometti, il quale, per molti anni, sotto i rigori della dominazione austriaca, non aveva mai cessato di tener fermo a scrivere pel teatro. Il dramma doveva avere sette atti, o sette quadri, che si voglia. La gente era accorsa numerosa. Si alza il sipario la scena rappresenta una bettola, qualche cosa di somigliante ad un assommoir, dove operai e popolani d'ogni risma stanno bivaccando. Il protagonista non tarda a comparire. Si comprende. È un marito della classe lavoratrice, forse un buon marito, un buon padre famiglia, che viene a spendere nell'orgia dei bevitori il salario della settimana. Lo spettacolo della bettola non è molto attraente. Gli attori, mezzo ebbri, si presentano scamiciati e parlano un linguaggio che si accosta molto a quello usato dallo Zola nel suo celebre romanzo cui la Francia ha fatto l'onore di oltre settanta edizioni. Non si tratta che di un prologo; all'autore necessita di far ubbriacare il suo protagonista; il vero dramma dovr

Ecco una lettera che Garibaldi scriveva al figlio del martire Anconitano: Caprera, 22 dicembre 1868. Mio caro Elia, «Figlio del popolo, il padre vostro merita di essere annoverato tra i grandi Italiani. «Oggi, che si avvicina la caduta della tirannide papale noi dobbiamo ricordare agli italiani le vittime della sua ferocia e fra quelle una delle più illustri, certamente, Antonio Elia.

FR. Ier l'altro, o Dicaste, avvertii questo Apistio, che non sprezzi come cosa incredibile quello che tutti gli uomini, o la maggior parte, hanno per probabile; ed è sentenza di Aristotile, che quello che è detto da tutti, non può essere in tutto falso: dalla quale persuaso Tomasso d'Aquino, annoverato fra santi per la sua piet

Ciò meditando, Buonvicino si sentì toccar il cuore, e fermò la risoluzione di togliersi dal tramestio mondano, e rendersi tutto a Dio. La sera non uscì dal convento; chiese d'esser annoverato tra i fratelli, e l'ottenne; in breve fu vestito e professato.

Dico bottega, per andare coi tempi; ma oggi si dovrebbe dire studio, perchè mastro Jacopo da Casentino era un pittore, e meritamente annoverato tra i migliori del suo tempo.