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Aggiornato: 6 maggio 2025


DON IGNAZIO. Non ad altro che ad onesto e onorato fine. ANGIOLA. Perdonatemi se cosí immodestamente vi rompo le parole in bocca.

ANGIOLA. Dubito che non mi proponiate un infame amore sotto una onorata richiesta di nozze. DON IGNAZIO. O Iddio, non mi conoscete nel fronte e negli occhi pregni di lacrime l'effetto della mia fede, che son ridotto all'ultimo termine della mia vita? ché se non voglio morire, son costretto toglierla per moglie? ANGIOLA. Ditemi di grazia, che cosa desiate da lei?

DON IGNAZIO. Certo non farei tanto torto alla sua bontá, alla mia qualitá; l'importanza del negozio il tempo richiede questo. ANGIOLA. Poiché le vostre costumate parole, degne veramente di quel cavaliero che voi sète, m'hanno sgombro dal cuor ogni sospetto, eccomi pronta ad ogni vostro comando.

Ma Elisa che sperava di far amicizia colla signorina Guerini era imbronciata, Giannina ed Angiola correvano avanti per fermarsi a coglier fiori e Mario raccontava a Vittorio che voleva fare la caricatura di Alberto Guerini quando passa tutto superbo sul suo velocipede, senza degnarsi di guardare i miseri mortali che camminano lungo la via.

DON IGNAZIO. Son disposto far quanto tu mi consigli. SIMBOLO. Ecco madonna Angiola che viene a casa. DON IGNAZIO. Signora Angiola, ho desiato gran tempo ragionar con voi d'un negozio importantissimo. ANGIOLA. Eccomi al vostro commodo: ben la priego a non trattarmi di cosa che men che onesta non sia.

DON IGNAZIO. Che sai tu che questo mi piaccia? SIMBOLO. Ve l'ho intesa lodar molto di bellezza, pregate don Flaminio che tratti col conte ve la conceda, passegiate tutto il giorno sotto le sue fenestre, e il pregio che guadagnaste nella festa de' tori mandaste a donar a lei. DON IGNAZIO. E ciò m'importa manco del primo. SIMBOLO. Sono stato a madonna Angiola. DON IGNAZIO. Ben?

DON IGNAZIO. Sappiate, madre mia, che da quel giorno che non so si debba chiamarlo felice o infelice per me che vidi la bellezza e l'oneste maniere di Carizia vostra nipote, m'hanno impiagata l'anima di sorte che, se voglio guarire, è bisogno ricorrere a quel fonte donde sol può derivar la mia salute. ANGIOLA. Signor don Ignazio, so dove va a ferir lo strale del vostro raggionamento.

ANGIOLA. Se ben quel che mi chiedete non abbi molto dell'onesto, pure traporrò l'autoritá mia, per quanto val appo lei, d'indurlaci; ché, raggionandosele de voi, ho conosciuto nel suo animo non so che di tacito consentimento. Fratanto che attendete la risposta, potrete trattenervi qui intorno, ché io vo' entrar in casa. DON IGNAZIO. Che dici, Simbolo?

CARIZIA. Signor don Ignazio, poiché Angiola mia zia mi fa fede della vostra onorata richiesta, io non ho voluto mancare dalla mia parte: eccomi, che comandate? DON IGNAZIO. Io comandare, che mi terrei il piú avventurato uomo che viva, se fusse un minimo suo schiavo? Voi sète quella che sola avete l'imperio d'ogni mia voluntá, e a voi sola sta impor le leggi e romperle a vostro modo.

DON IGNAZIO. Se non che pregarla che m'accetti per sposo, pur se non sdegna cosí basso sogetto. ANGIOLA. Non sapete voi meglio di me che questo ufficio convien farsi col padre e non con lei, perché non lice ad una donzella dispor di se stessa?

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