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Don Andreino un po' sostenuto, un po' trascinato dalla mano robusta dell'amico, non cessava di ripetere quel che aveva gi

Andreino Lulli non seppe far altro che buttarsi a piangere anche lui sul povero suo amico. Lo carezzò, gli fece sentire il calore delle sue lagrime, lo strinse nelle braccia, lo baciò sul capo, sforzandosi di patire anche lui nella misura enorme del suo compagno, oltre la sua capacit

Soltanto don Andreino si sforzò di parer qualche volta di buon umore: ma i suoi discorsi, per quanto cercasse di farli parere spontanei, avevano nell'animo de' suoi compagni di viaggio quella falsa risonanza, che mandano le posate e i bicchieri a un pranzo che segue un triste funerale.

Troveremo qui abbasso il portier che ci aspetta. Non lo voglio: andiamo soli, Andreino. Ma io non conosco queste strade. Non fa nulla. Menami fuori, all'aperto, in una di queste vicine alture. Ho bisogno di respirare un'aria alta. Poi ti dirò quel che dovrai fare. Tu mi vuoi bene, Andreino: tu sei stato per me in questi giorni più che una sorella.

Don Andreino non aveva mai detto tante bugie, ma le disse così bene e con tanta naturalezza che i cuori si confortarono. E allora mandalo a chiamare questo fabbricatore di globuli rossi disse Ezio, ricuperando un poco di quella speranza che galleggia sempre anche in mezzo alle più fiere tempeste.

Al rumore che fecero le ruote sulla sabbia, uscì dalla casa don Andreino Lulli, a cui il trambusto di quella sciagurata spedizione, l'affanno di molte ore di ansia, la paura e le cure prestate al paziente durante la terribile operazione non avevano fatto perdere la contenance.

Ve la tenne un pezzo il vecchio amico e la bagnò di lagrime calde che uscivano dal vecchio cuore. Fu il primo Ezio a svegliarsi e chiamò Andreino che dormiva in un letto accanto. Ho sentito sonar le tre all'orologio del corridoio. Aiutami a vestirmi: noi dobbiamo essere su qualche altura prima che il sole metta fuori le corna.

Le cicale cantavano a tutto cantare nella lenta e calda quiete di quella giornata di agosto. Due amici giovani. Sonava la mezzanotte a S. Giovanni di Bellagio, quando Ezio Bagliani e il contino Andreino Lulli, detto anche Lolò, sfuggendo alla baraonda, scioglievano il canotto dagli anelli della darsena e si staccavano dal piccolo molo del Ravellino.

La quiete, la cura ricostituente e la fiducia nelle buone forze della natura dovevano confortare il malato a sperar bene; ma nel venir via in carrozza con Bersi, Cresti e Andreino, il dotto clinico non nascose qualche paura che il male potesse essere irreparabile. Cioè... cioè?... esclamarono in coro con un senso di raccapriccio gli amici. Cioè ch'egli resti cieco per sempre.

Tu predichi così bene in quella cuffietta che è peccato non far dei peccati. E del tuo conte Lolò che n'hai fatto? chiese Flora, Dove l'hai fatto fare questo elegante attaccapanni? Don Andreino è il più impeccabile degli elegantissimi di Milano. È lui che da il tono alla moda. È per questo che porta quel corvattone verde e crespo come l'indìvia? È l'ultima parola di Parigi.