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MANGONE. Ho inteso ben dir da lei che si chiamava Alcesia; ma allora che la comprai, si chiamava Melitea. ISOCO. Che n'è di questa giovane? MANGONE. Di questa giovane ragioniamo ora, che sotto nome di costui m'è stata sbalzata da casa. ISOCO. Sappi che quella Melitea, che tu dici, è donna libera e gentildonna cristiana e non schiava; è figlia di un napolitano molto ricco e importante.

DOTTORE. Dio cel perdoni! ché m'ha fatto buttar piú lacrime e piú sospiri che non ho peli adosso, non solo ogni volta che mi ricordavo le persone, ma quando io son venuto col pensiero da me stesso. Ma eccola che viene. ISOCO. Questa è Alcesia mia.

DOTTORE. Forca mio, se per l'addietro t'ho odiato piú che la morte, come ostacolo de' miei desidèri; or, come quello che mi hai tolto da illeciti amori o disoneste nozze, te ne arò obligo eterno. Sappi che Alcesia non piú Melitea non è schiava di Mangone, ma mia legittima figliuola, che molti anni sono mi fu rapita dalla balia, come potrai piú a lungo intenderlo da costui...

MELITEA. Nascendo fui rapita dalla balia; poi, con piú malvaggia fortuna, fui rapita da' corsari, i quali mi fecero questo oltraggio che, rubbando me, mi rubbaro il mio vero nome, il quale è Alcesia. DOTTORE. Dimmi, figliuola cara, non hai alcuna di quelle coselline d'oro serbate teco, che ti diè Galasia mia moglie?

DOTTORE. Or dimmi, di quelle cose che mi tolse Galasia, non ne ha serbata alcuna Alcesia per ricordo di suo padre? ISOCO. bene: un anello con una fede scolpita, con certi piccioli diamantini intorno; e certi bracciali d'oro che mia moglie tolse con lei: e se l'ha ella sempre portati su' diti, e se i corsari non gli han tolti, penso che debba avergli.

Ecco, carissima Melitea, sarai padrona della casa o mia regina; e se mi facci un figlio, mia carissima moglie, per te obliarò la perdita della mia amata consorte e la rapina dell'unica mia figliuola Alcesia. Anzi reputa, da oggi innanzi, che io sia tuo servo, e in dono ti do tutta la mia robba e me medesimo.

DOTTORE. Che ha un giovane piú di me? In quel fatto proprio, in cambio di far carezze alle povere donne, tutte le dimenano e le strappazzano senza rispetto; noi vecchi abbiam un natural piú rispettoso, sempre le comparemo innanzi col capo chino e le trattiamo con piú creanza. A' giovani quel fatto è fin de' loro amori, e spento in lor quel disordinato appetito, è spento l'amor loro; a noi per contrario, non potendo saziarcene, l'amore è sempre nuovo. Ma io vo' scoprirti il mio pensiero, Mangone mio. So ben che in questa etá non devrei cader in simil colpa, ma con fortezza e costanza resistere alle passioni, e devria far un guadagno della mia vergogna, tacere e soffrire: ché se è cattivo il fare, è peggio il palesarlo; ma lo fo non per fin di diletto, ma per desiderio di successione. Quando morí, mia moglie Brianna mi lasciò una fanciulla chiamata Alcesia; e volse la mia disgrazia che, fuggendosene la balia per certi rispetti, se la menò seco molti anni sono in Ragugia: mandai e non potei trarne nulla di costrutto, restai sola e infelice reliquia del mio legnaggio, del che son vissuto e vivo da disperato; e trovandomi da quarantamila ducati di facoltá, non avendo a chi lasciarla, mi par assai duro...

Son d'intorno a tre anni che certi uscocchi depredando i lidi della Schiavonia, da una villa dove io abitava mi tolsero una giovane bellissima; e mi fu riferito che la vendero in Napoli per ducento ducati ad un mercadante di femine, detto Mangone. MANGONE. È vero; e si chiama Melitea. ISOCO. Non, no: quella si chiamava Alcesia.