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E così dicendo, Rambaldo di Verrùa, torse cortesemente lo sguardo da lei, per dare un’occhiata in giro ad Ansaldo di Leuca e agli altri amici del conte Ugo di Roccam

E dopo quella parola, insieme con la luce di un lampo e col fragor d’un tuono, comparve nella camera del Negromante il fido Aporèma, non sotto la forma del romèo, di Rambaldo di Verrùa, di frate Gualdo, sibbene sotto quella splendidissima, abbagliante, dell’arcangelo fulminato nei cieli. Nel quale è dimostrato che il diavolo non è così brutto come lo si dipinge.

Il giovine signore cavalcava un magnifico destriero, morello come il suo nome, vo’ dire di manto nero, a cui faceva contrapposto il bianco cavallo di Rambaldo di Verrùa, altro nobilissimo animale.

Appena furono sul pianerottolo, Morello ebbe come un capogiro e sentì mancarsi il cuore; ma Rambaldo di Verrùa, che gli era venuto da fianco, fu sollecito a sostenerlo, senza che altri se ne addasse, e a susurrargli alcune parole misteriose. Le quali certamente ebbero possanza di rinfrancarlo, dappoichè il giovine signore ripigliò tosto la sua pronta andatura.

Ansaldo, che le stava seduto daccanto, venìa tratto tratto bisbigliando a lei motti leggiadri, ai quali, bisogna pur confessarlo, ella rispondeva a mala pena. Quel giorno Morello di Monferrato si ritrasse più presto nelle sue stanze e gettatosi bocconi sul letto si diede a piangere amaramente. Rambaldo di Verrùa s’era fatto daccanto a lui per consolarlo.

Per tal guisa, a malgrado del tagliere e della coppa comune, il pranzo durò troppo a lungo per Morello di Monferrato. Come fu notte ed egli si trovò solo nelle sue stanze con Rambaldo di Verrùa, così volse la parola al compagno:

Siffatti insegnamenti non bisognavano al conte Corrado; e di vero, appena fu giunto in gran sollecitudine da lui il trovatore Rambaldo di Verrùa, per annunziargli l’arrivo di Morello, secondogenito del marchese di Monferrato, tosto per suo comandamento fu sossopra il castello, affinchè ogni cosa fosse in pronto per ricevere un ospite così ragguardevole, con tutta la gualdana che gli faceva cortèo.

Rambaldo di Verrùa, vestito anch’egli di ferro, appariva di fuori tutto rosso come un cardinale, o come un gambero cotto. Il suo elmo portava due magnifiche corna, o trombe di torneo, contrassegni allora di chi era stato riconosciuto nobile e blasonato due volte nei torneamenti, cioè pubblicato due volte a suon di tromba dagli araldi.

Questo avevano riferito i due gentiluomini monferrini tornando a Torrespina, e Morello li aveva rimandati, con tutti i cavalieri ed uomini d’arme del suo cortèo, non ritenendo altri con che Rambaldo di Verrùa.