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La lancia del Corradengo era passata tra i due corni dell’elmetto di Rambaldo, che per cansare il colpo s’era prontamente curvato fin sul collo del suo destriero, intanto che la sua lancia, più fortunata, coglieva l’avversario sotto la gorgiera, e lo balzava a dirittura di sella.

E così dicendo, Rambaldo di Verrùa, torse cortesemente lo sguardo da lei, per dare un’occhiata in giro ad Ansaldo di Leuca e agli altri amici del conte Ugo di Roccam

Tutto indolenzito dalla caduta, ma furibondo pe’ motteggi dell’avversario, il Corradengo si rizzò in piedi, mentre Rambaldo, sceso giù da cavallo e lasciate le redini al donzello, mettea mano alla spada.

Questo avevano riferito i due gentiluomini monferrini tornando a Torrespina, e Morello li aveva rimandati, con tutti i cavalieri ed uomini d’arme del suo cortèo, non ritenendo altri con che Rambaldo di Verrùa.

Rambaldo, da esperto cavaliere, lo aveva prontamente imitato.

Ma Rambaldo non s’era tolto nemmeno il fastidio di parare il colpo. Agile e pronto come una lucertola, egli era guizzato da un fianco, e il Corradengo, non avendo altro a tagliare che l’aria, era andato bocconi sul terreno a contare la sua seconda caduta.

Il giovine signore cavalcava un magnifico destriero, morello come il suo nome, vo’ dire di manto nero, a cui faceva contrapposto il bianco cavallo di Rambaldo di Verrùa, altro nobilissimo animale.

Per tal guisa, a malgrado del tagliere e della coppa comune, il pranzo durò troppo a lungo per Morello di Monferrato. Come fu notte ed egli si trovò solo nelle sue stanze con Rambaldo di Verrùa, così volse la parola al compagno:

Rambaldo sorrise a queste parole di Morello, e gli chiese:

Quando tornò nel suo appartamento, Morello fu meravigliato di scorgere il lume acceso nella camera di Rambaldo.