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Oreste era morto, e Pilade lo aveva dimenticato; ospite in casa sua, tradiva la sua memoria e tentava di occupare il suo posto in quell’unico cuore che doveva essere sacro per lui. Intanto le settimane erano scorse, e dell’estinto non s’era mai fatto cenno alla corte di Torrespina.

Questo avevano riferito i due gentiluomini monferrini tornando a Torrespina, e Morello li aveva rimandati, con tutti i cavalieri ed uomini d’arme del suo cortèo, non ritenendo altri con che Rambaldo di Verrùa.

Ora questo sguardo fuggevole non si ricordava egli aver dato, questo tacito omaggio aver fatto a Peretta di Montezemolo, o ad Agnese de’ Ferreri, che così si chiamavano le damigelle di Torrespina.

La più bella delle Veneri stava seduta, leggendo uno di quei volumi dalle carte miniate che erano sulla tavola daccanto alla sua scranna intarsiata; ma come gli ospiti di Torrespina comparvero sul limitare, si alzò, e la sua svelta persona, cui aggiungevano dignit

Intesero tutti la scusa, e Ansaldo di Leuca ed Enrico Corradengo furono i primi ad uscire dalla sala, togliendo anzi commiato da Torrespina pel giorno vegnente. Strana condizione di quattro cavalieri, i quali avevano stanza nel medesimo castello, ospiti di un medesimo signore, e che dovevano la mattina appresso uscire dalla medesima porta per combattere ad oltranza gli uni cogli altri!

Di fama, di potenza e di onore, egli aveva quanto bastasse ad orrevole cavaliero del suo tempo; e poi, conte Ugo non avrebbe lasciata l’Italia per il trono del mondo se mai Domineddio glielo avesse profferto; imperocchè egli era amato dalla più bella tra le creature umane, da Giovanna di Torrespina, da colei che celebravano per leggiadria e valore quanti erano cultori della gaia scienza, e che lasciò ella stessa, a testimonianza del suo ingegno, le più graziose ballate in quella lingua provenzale, che era in fiore per tutta Italia, innanzi che l’amante della bellissima Avignonese facesse della lingua italiana l’idioma d’amore.

Ambedue pronti al passo, ed impazienti di freno; ma più di loro a gran pezza impaziente il biondo signore, che, giunto ad una svolta della strada dove s’incominciavano a scorgere le mura merlate di Torrespina, ficcò gli sproni nel ventre al destriero.

Ella, dico, non s’era addata di questi maneggi, imperocchè la sua mente era altrove. Spesso le avveniva di rimanere lunga pezza, segnatamente nell’ora del tramonto, a contemplare il sole che si nascondeva dietro i monti vicini, o a guardare attentamente dal suo verone verso la strada che, costeggiando i pioppi del fiume, facea capo al ponte di Torrespina, in atto di persona che aspetti qualcuno.

E Giovanna di Torrespina non era sorda all’affetto di Ugo. Sebbene ella non avesse mai risposto parola a quelle frasi che gli prorompevano dalle labbra nell’impeto delle sue adorazioni, egli bene intendeva d’esser ricambiato da lei, e ciò poteva bastargli, fino a tanto durasse quel periodo di calma oceanica che sopra s’è detto.

Le lancie si fermarono in uno spazioso cortile, dove smontarono da cavallo, e da’ famigli e palafrenieri di Torrespina furono condotti nei loro alloggiamenti, insieme coi fanti del cortèo. Morello e gli altri gentiluomini, guidati da messere Corrado, salirono per una larga scala, lungo i gradini della quale era steso un magnifico tappeto di Balsòra, fino alla gran sala del castello.