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tal mi fec’ io, non possendo parlare, che disïava scusarmi, e scusava me tuttavia, e nol mi credea fare. «Maggior difetto men vergogna lava», disse ’l maestro, «che ’l tuo non è stato; però d’ogne trestizia ti disgrava. E fa ragion ch’io ti sia sempre allato, se più avvien che fortuna t’accoglia dove sien genti in simigliante piato: ché voler ciò udire è bassa voglia». Inferno · Canto XXXI

Mentre che l'uno spirto questo disse, l'altro piangea; si` che di pietade io venni men cosi` com'io morisse. E caddi come corpo morto cade. Inferno: Canto VI Al tornar de la mente, che si chiuse dinanzi a la pieta` d'i due cognati, che di trestizia tutto mi confuse, novi tormenti e novi tormentati mi veggio intorno, come ch'io mi mova e ch'io mi volga, e come che io guati.

<<Or quando tu cantasti le crude armi de la doppia trestizia di Giocasta>>, disse 'l cantor de' buccolici carmi, <<per quello che Clio` teco li` tasta, non par che ti facesse ancor fedele la fede, sanza qual ben far non basta. Se cosi` e`, qual sole o quai candele ti stenebraron si`, che tu drizzasti poscia di retro al pescator le vele?>>.

Ond’ ei, ch’avea lacciuoli a gran divizia, rispuose: «Malizioso son io troppo, quand’ io procuro a’ mia maggior trestizia». Alichin non si tenne e, di rintoppo a li altri, disse a lui: «Se tu ti cali, io non ti verrò dietro di gualoppo, ma batterò sovra la pece l’ali. Lascisi ’l collo, e sia la ripa scudo, a veder se tu sol più di noi vali».

per un ch'io son, ne faro` venir sette quand'io suffolero`, com'e` nostro uso di fare allor che fori alcun si mette>>. Cagnazzo a cotal motto levo` 'l muso, crollando 'l capo, e disse: <<Odi malizia ch'elli ha pensata per gittarsi giuso!>>. Ond'ei, ch'avea lacciuoli a gran divizia, rispuose: <<Malizioso son io troppo, quand'io procuro a' mia maggior trestizia>>.

Ond’ ei, ch’avea lacciuoli a gran divizia, rispuose: «Malizioso son io troppo, quand’ io procuro a’ mia maggior trestizia». Alichin non si tenne e, di rintoppo a li altri, disse a lui: «Se tu ti cali, io non ti verrò dietro di gualoppo, ma batterò sovra la pece l’ali. Lascisi ’l collo, e sia la ripa scudo, a veder se tu sol più di noi vali».

«Or quando tu cantasti le crude armi de la doppia trestizia di Giocasta», disse ’l cantor de’ buccolici carmi, «per quello che Clïò teco tasta, non par che ti facesse ancor fedele la fede, sanza qual ben far non basta. Se così è, qual sole o quai candele ti stenebraron , che tu drizzasti poscia di retro al pescator le vele?».

per un ch'io son, ne faro` venir sette quand'io suffolero`, com'e` nostro uso di fare allor che fori alcun si mette>>. Cagnazzo a cotal motto levo` 'l muso, crollando 'l capo, e disse: <<Odi malizia ch'elli ha pensata per gittarsi giuso!>>. Ond'ei, ch'avea lacciuoli a gran divizia, rispuose: <<Malizioso son io troppo, quand'io procuro a' mia maggior trestizia>>.

Mentre che l'uno spirto questo disse, l'altro piangea; si` che di pietade io venni men cosi` com'io morisse. E caddi come corpo morto cade. Inferno: Canto VI Al tornar de la mente, che si chiuse dinanzi a la pieta` d'i due cognati, che di trestizia tutto mi confuse, novi tormenti e novi tormentati mi veggio intorno, come ch'io mi mova e ch'io mi volga, e come che io guati.

tal mi fec’ io, non possendo parlare, che disïava scusarmi, e scusava me tuttavia, e nol mi credea fare. «Maggior difetto men vergogna lava», disse ’l maestro, «che ’l tuo non è stato; però d’ogne trestizia ti disgrava. E fa ragion ch’io ti sia sempre allato, se più avvien che fortuna t’accoglia dove sien genti in simigliante piato: ché voler ciò udire è bassa voglia». Inferno · Canto XXXI