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No, a vostro comodo, Pinaia. Me la manderete domani. E grazie, non è vero? Lei è troppo buono, signor conte; rispose mastro Pinaia, facendo le viste di non aver capita l'ironia. Sia pure; rispose Maurizio, che voleva mostrare di aver capito il complimento del fornaio arpagone. Ma vi pregherò di non ridirlo a nessuno. Non vorrei che mi metteste sulle braccia tutti i debitori morosi di San Giorgio.

E non lo ha detto, signor Maurizio. «Sono stato pagato»; furono queste le sue precise parole, e non volle aggiungere di più. Dunque, signor Maurizio, voi siete stato tanto buono; e non mi dite che i ringraziamenti vi opprimono, perchè voglio esservi grata io, che avrei pagato tanto volentieri il signor Pinaia.

Finalmente! finalmente! per quella volta egli si sentiva liberato d'un gran peso. Ah, la vita, che molesto fardello! E così, senza troppa fatica, per la mano del buon ragno.... Ma , era ancora un modo di accostarsi a Gisella. Scese a passi più calmi il gran viale dei tigli; uscì tranquillo, quasi ilare, dal cancello. E perchè no? Voleva infatti esser ilare, parerlo a tutti, in paese; che il giorno dopo, risapendo una certa notizia, non avessero i maligni a metterla d'accordo con la sua cera da funerale. La sua vigilia non doveva esser triste: non è mai triste il soldato, il cavaliere, quando va a gittar la sua vita. Sorrise, adunque, sorrise a quanti incontrava per via, sorrise perfino al Pinaia, al panattiere arpagone, che gli rammentava i Feraudi. Anche da quei poveri contadini del Martinetto voleva andare, quel giorno. Voleva veder tutto, visitare tutti quei memori luoghi. Non aveva più terrori nell'anima; sarebbe andato lassù, a pregare, a pensare nella cameretta dove si era spenta Gisella; ed anche nel rifugio, sul torrione, dove la bella creatura adorata gli era caduta come morta fra le braccia, alla vista del frate. Ah, il frate! una allucinazione; egli lo sentiva bene, oramai, di aver veduto ciò che Gisella vedeva, e solamente perchè, sotto la sensazione di un alto spavento, le braccia dell'amata donna si erano avvinghiate al suo collo. Anche l

Laggiù vivevano i poveri fittaiuoli del Pinaia, avendo davanti a quel magro podere e quei pascoli per cui dovevano pagare cinquecento lire ogni anno al fornaio arpagone di San Giorgio. Compiuto il giro della vasta rovina, Maurizio riuscì sull'aia che si stendeva davanti alla casa.

Maurizio era per domandargli: E voi, Pinaia, di che razza siete disceso? Ma non volle aver due litigi in un giorno, cascando dal generale al fornaio. Si contentò in quella vece di dirgli: Sentite, Pinaia: quella gente mi preme. Può esser vero quel che voi dite; può anche non esser tale, e in questo caso io avrei rimorso di non essermi interessato per le loro disgrazie.

Più tranquillo da quel lato, Maurizio ripigliò la via del paese. Sulla piazza gli venne veduto il Pinaia, che stava seduto a prendere il fresco sull'uscio della sua bottega. Mentre il fornaio si alzava a mezzo, per fargli di berretto, un'idea passò veloce per la testa a Maurizio. , certo, bisognava associarsi alle buone opere della contessa Gisella. Chiamò il fornaio e lo condusse in disparte, entrandogli subito del caso di quella povera gente. Ah, , povera gente! rispondeva il Pinaia, che da quell'orecchio era un po' duro. Gli erano debitori d'un semestre, e maturato da un pezzo; ancora un po' che aspettasse, gli sarebbero stati debitori di tutta l'annata, cinquecento lire, a non contare l'interesse della moneta. E non c'era verso di spillar loro un centesimo. Ma quella povera mucca morta! ribatteva Maurizio; l'altra col latte guasto, che non si poteva farne nulla; e la moglie ammalata! Tutte scuse, tutti pretesti. La mucca era morta da cinque giorni, se mai, e il semestre lo dovevano da due mesi. L'altra mucca aveva il latte guasto, ma si aspettava un vitello. Quanto alla moglie ammalata, vecchia storia! Gi