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e gioie ùmili e sante, e case dai lindi balconi pieni di vento, pieni di gaie ridenti canzoni. E tu, tu, vecchia porta, travolta ne l’ampia ruina, vedrai la prima volta, cadendo, la luce divina: coi palpiti di marzo che sveglian le fresche viole, respirerai, morendo, la gloria feconda del sole. Amo le tue canzoni, o vecchio organetto scordato, da un monco veterano per ùmili strade guidato.

Balza la Triste dal letto straniero Ne la penombra scialba: Rimette cenci su la carne ignuda: Torna col figlio al noto Orror de l’abbandono, a l’aria cruda, Ai perigli, a l’ignoto, A la caccia del pane!... Avida mira L’ampia citt

Ne l’innocente palpitar dell’ale. Ne l’ampia folla libera e serena L’onda rifluir

Vorrei sentirle ancor le nenie lente Che un , chinata su tranquilla cuna, Calma ne l’ampia oscurit

l’anima sua, ch’è tua e mia serocchia, venendo , non potea venir sola, però ch’al nostro modo non adocchia. Ond’ io fui tratto fuor de l’ampia gola d’inferno per mostrarli, e mosterrolli oltre, quanto ’l potr

l’anima sua, ch’è tua e mia serocchia, venendo , non potea venir sola, però ch’al nostro modo non adocchia. Ond’ io fui tratto fuor de l’ampia gola d’inferno per mostrarli, e mosterrolli oltre, quanto ’l potr

ma tu, che da me bevi la forza essenzïale, ed il bene ed il male ricevi, rompi, potente seme, la zolla inturgidita. Benedirem la vita insieme. Cuce, in silenzio, sotto la lampada, una cuffietta rosa. Mai non si vide più leggiadra cosa. Trasale, a un tratto, ne l’ampia tunica, con un sorriso strano. La cuffietta le scivola di mano. Così, velato lo sguardo, pallida come una morta, ascolta.

Batto: l’ampia Citt