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Non era nobile, il signor Lesarini, che debbo ora descrivervi; era abbastanza ricco per vivere ozioso, e amava consumare i suoi ozi fuori del ceto in cui l'aveva fatto nascere il caso. Tra i suoi pari sarebbe stato un signore; ma ognuno ha i suoi gusti, ed egli preferiva stare coi nobili, facendo il servitore. Uomo maturo, si atteggiava a giovanotto, accettando seriamente il titolo di «molto pericoloso» che gli davano tutti per celia, lasciandolo volentieri accanto alle loro met

Il Lesarini vi abborda e vi dice, come se continuasse un discorso: «Vengo da Muller, ma inutilmente, e adesso vado da Bauer. Sai? il senatore non può far la bocca alla birra di Chiavenna, ed io mi son preso l'incarico di trovarne dell'altra, o di Gratz, o di Baviera.» A voi non importa un fico secco che il senatore non gradisca la birra di Chiavenna.

Rispose tuttavia con un gesto di soddisfazione, che poteva essere di ringraziamento per le notizie del Lesarini, ed anche di chiusura al discorso. Il ballo stava per incominciare, quando riapparve il conte Gino, ancora seguito da Emilio Landi. Come? esclamò la signora. Siete ritornato? Credevo che foste andato a far visita.... laggiù.

Il vecchio cavaliere sorrise beatamente, fece la ruota, ma non rispose verbo. Quando sono accusati di galanteria con molte, e di galanteria fortunata, s'intende, i Lesarini non rispondono mai. Confermare non possono; negare non vogliono; perciò lasciano correre, felici abbastanza che, in mancanza di storia, una leggenda si formi.

Il De Wincsel guardava e sospirava. La contessa Elena credette conveniente di sviare con qualche discorso l'attenzione di Emilio Landi. Quanto al Lesarini, in verit

Quella volta il marchese Landi fu per andarsene davvero; ma anche stando in piedi volle rimanere un istante, per sentire le novelle del messaggero. Nunzio, che rechi? diss'egli con piglio alfieresco al nuovo venuto. Ho trovato, finalmente; rispose il Lesarini. Ho faticato un pochino, chiedendo di qua e di l

Vi ha incaricato di ciò, Lesarini? chiese Emilio Landi al vecchio cavaliere, al drago della contessa Elena. Siete un uomo fortunato, voi! Ma ecco.... soggiunse, con un risolino arguto il giovanotto, ecco un suon d'armi, che annunzia un cambiamento di guardia. Dite un rinforzo! notò la contessa, che aveva udito anch'ella un tintinnìo di sciabola nel corridoio.

Lesarini, Landi, seguite mio marito; disse la contessa. Sorreggetelo, che non caschi. Ah, ah! Venuto a tempo, questo capogiro! E rise, la bella signora. Poi, volgendosi dall'altra parte, puntò il cannocchiale verso la sconosciuta, non più sconosciuta, che in quel momento si ritirava anch'essa in fondo al suo palco. Scena doppia, a quel che sembra! mormorò la signora.

Ma no; il Lesarini vi ha da raccontare quel che egli mangia e quel ch'egli beve; e mentre voi, per convenienza, gli rispondete un «ahche vuol dire e non dire, egli vi guizza di mano. «Lasciami, perchè ho fretta; debbo andare da Bauer.» E vada pure; ma non senza fermarsi otto dieci volte per via, raccontando a tutti la medesima storia.

Di Gino, capite? e non del conte Gino Malatesti. È usanza dei Lesarini di non chiamar mai i loro nobili amici per il casato, per il titolo che li distingue. Non altrimenti usano con le dame, chiamandole semplicemente, familiarmente, per il loro nome di battesimo, e preferendo il vezzeggiativo, se c'è. Così, quando si degnano di ragionare delle loro imprese col volgo profano, sogliono attaccare dei discorsi come questi: «Sapete? ieri Corinna mi ha ricordato.... Gino mi rispondeva.... Elena mi pregava iersera.... Ho incontrato stamane Polissena e mi ha detto: ah bravo, Pippo! vi trovo in buon punto; dovreste accompagnarmi dal dentista....» Raccontando queste maraviglie, i Lesarini trionfano, fanno la ruota come i pavoni, o, se vi piace meglio, come i tacchini. Che si fa celia? Darsi del voi con la gente titolata! Essere i confidenti delle dame più cospicue della citt