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tornan d'i nostri visi le postille debili si`, che perla in bianca fronte non vien men forte a le nostre pupille; tali vid'io piu` facce a parlar pronte; per ch'io dentro a l'error contrario corsi a quel ch'accese amor tra l'omo e 'l fonte. Subito si` com'io di lor m'accorsi, quelle stimando specchiati sembianti, per veder di cui fosser, li occhi torsi;

Però che la tua bontá promecte bene a coloro che ti servono in veritá. Imperò discendesti a limbo, per trare di pena chi t'aveva servito e rendar lo' el fructo delle loro fadighe. La misericordia tua vego che ti costrinse a dare anco piú a l'uomo, cioè lassandoti in cibo, acciò che noi, debili, avessimo conforto, e gl'ignoranti smemorati non perdessero la ricordanza de' benefizi tuoi.

PELAMATTI.... Ché per potermi ricordar tanto, bisognarebbe un cervello di lionfante, e per camminar tanto, le gambe di dromedario; dove cervello n'ho poco piú d'una oca, e gambe cosí debili che appena mi reggono sovra, e senza scarpe ancora.... PELAMATTI.... Oh, trovassi alcuno che me lo insegnasse. Ma ecco il fico selvaggio nel muro: questa è dessa. PANURGO. Férmati, oh, oh, oh! a chi dico io?

LUIGI BLANC. Storia della Rivoluzione di Francia, t. II, lib. 3. Giornali del tempo, e segnatamente il Débats. Quali per vetri trasparenti e tersi, Ovver per acque nitide e tranquille Non profonde, che i fondi sien persi, Tornan dei nostri visi le postille Debili , che perla in bianca fronte Non vien men forte alle nostre pupille. Paradiso Canto III.

Quali per vetri trasparenti e tersi, o ver per acque nitide e tranquille, non si` profonde che i fondi sien persi, tornan d'i nostri visi le postille debili si`, che perla in bianca fronte non vien men forte a le nostre pupille; tali vid'io piu` facce a parlar pronte; per ch'io dentro a l'error contrario corsi a quel ch'accese amor tra l'omo e 'l fonte.

Quivi e` la rosa in che 'l verbo divino carne si fece; quivi son li gigli al cui odor si prese il buon cammino>>. Cosi` Beatrice; e io, che a' suoi consigli tutto era pronto, ancora mi rendei a la battaglia de' debili cigli. Come a raggio di sol che puro mei per fratta nube, gia` prato di fiori vider, coverti d'ombra, li occhi miei;

O dilecti miei! essi si facevano subditi, essendo prelati; essi si facevano servi, essendo signori; essi si facevano infermi, essendo sani e privati della infermitá e lebbra del peccato mortale; essendo forti, si facevano debili; coi macti e semplici si mostravano semplici, e co' piccoli, piccoli.

tornan d’i nostri visi le postille debili , che perla in bianca fronte non vien men forte a le nostre pupille; tali vid’ io più facce a parlar pronte; per ch’io dentro a l’error contrario corsi a quel ch’accese amor tra l’omo e ’l fonte. Sùbito com’ io di lor m’accorsi, quelle stimando specchiati sembianti, per veder di cui fosser, li occhi torsi;

Quali per vetri trasparenti e tersi, o ver per acque nitide e tranquille, non profonde che i fondi sien persi, tornan d’i nostri visi le postille debili , che perla in bianca fronte non vien men forte a le nostre pupille; tali vid’ io più facce a parlar pronte; per ch’io dentro a l’error contrario corsi a quel ch’accese amor tra l’omo e ’l fonte.

Quivi è la rosa in che ’l verbo divino carne si fece; quivi son li gigli al cui odor si prese il buon cammino». Così Beatrice; e io, che a’ suoi consigli tutto era pronto, ancora mi rendei a la battaglia de’ debili cigli. Come a raggio di sol, che puro mei per fratta nube, gi