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Angiolina andò a prendere una bambola e volle che Maria le insegnasse a fasciarla e a curarla come se fosse ferita, ma la bambola era di legno e non poteva servire, sicchè Giannina si prestò a lasciarsi fasciar lei un dito e poi un braccio. Maria mostrò come si doveva fare, poi si provò Angiolina, poi Elisa; ma una l'altra riuscirono a fare una fasciatura così forte come quella di Maria.

Dopo tre mesi di vita gaja, la Gina ammalò di tifo: e se non era una vecchierella di buon cuore che si pose a curarla, presso il guanciale, gli amici l'avrebbero lasciata morire come un cane, nel suo bel gabinetto chinese.

Angiolina voleva notarsi i consigli di Maria; essa aveva sempre il rimorso della risipola venuta alla sua mamma, perchè non aveva saputo curarla bene. Pensare che s'io avessi saputo tante cose come lei, diceva a Maria, la mamma non avrebbe sofferto tanto! Non so perchè a scuola non insegnino una scienza che è così utile.

Poi, istasera, dipoi cena, potrem mettervi mano e far qualcosa buona. E, perché veda ora qualcosa, mostrali la mano. Guarda, maestro Abraham. LISTAGIRO. Per contentarvi. GIRIFALCO. Ecco. Guarda, maestro, se a' tuoi giorni vedesti man bella e dilicata, colorita e ben fatta. LISTAGIRO. Bella, bella, se Dio mi guardi. Tu non debbi molto curarla con saponi ed acqua fresca, per ordinario.

Pochi ragazzi avrebbero avuto tanta pazienza di sopportare i rimproveri e le ire di quella donna, divenuta quasi pazza dal dolore; ma egli si rammentava le raccomandazioni di Francesco e continuava a lavorare per lei, a curarla quand'era ammalata ed a sopportare pazientemente le sue sfuriate.